Comunque Wada sarà un successo

È sorprendente come il tennis rappresenti suo malgrado un meraviglioso specchio sociale. Perfetta metafora della vita, il tennis educa a una sana competizione, insegna ad accettare le sconfitte, a gestire e a risolvere gli errori.

Talvolta però tutta l’energia che il tennis esige dal suo solitario giocatore può intossicare quella passione e trasformarsi in aride parole, affrettate e impulsive che proliferano sotto il fascino subdolo del vittimismo, in netto contrasto proprio con quei valori di correttezza e lealtà che lo sport propugna.

Il caso Clostebol che ha coinvolto Jannik Sinner ha evidenziato come è facile perdersi dietro alle voci, alle parole degli altri, ai castelli in aria di calunnie, eretti da chi vuole solo affossare i sogni dei vincenti. È la demagogia dell’uguaglianza che costringe tutti a misurare il passo delle gambe su chi le ha più corte.

È la stortura dell’uguaglianza formale, quella meramente aritmetica, perché nulla è più ingiusto che far parti uguali tra disuguali. Ogni individuo, ogni situazione sono a sé stanti, tutto ciò che riguarda le persone dovrebbe essere garantito dal sigillo dell’unicità. Invece molti colleghi del tennista azzurro auspicavano in nome della mera coerenza e dell’uguaglianza di trattamento, che anche Jannik subisse la stessa sorte toccata in passato ad altri giocatori che erano stati puniti per doping. Infatti, l’attacco più diffuso nei confronti della vicenda antidoping di Sinner si basa sull’assunto che se sei un giocatore di alto livello, se puoi permetterti i migliori avvocati allora puoi influenzare l’esito di un procedimento per doping. 

Da Djokovic a Wawrinka, passando per l’astioso Kyrgios, molti ipotizzavano che il ricorso della Wada si concludesse con una condanna, in nome di un pericoloso quanto inclusivo “si è sempre fatto così”. Ma tutte queste parole in circolo hanno avuto solo l’effetto di assorbire sane energie positive e trasformare l’odio in un’opinione che ha avvelenato l’anima e il corpo proprio di chi la sosteneva fermamente. Quello che doveva essere un tempo proficuo per tentare la scalata alla classifica ATP approfittando del limbo forzato di Sinner si è trasformato nella tempesta perfetta. Il fato ha uno strano senso dell’umorismo e le attuali deludenti prestazioni degli antagonisti diretti di Jannik gli consentiranno paradossalmente di restare al vertice del ranking fino al suo rientro senza mai giocare, volando sulle onde del destino come il vascello fantasma del capitano Willem Van Der Dickens, inghiottito dall’uragano e costretto a navigare in eterno in balia dei venti avversi. Il veliero spettrale che imperversa nei mari tennistici è stato avvistato mentre si faceva largo tra i nebulosi malumori dei tennisti ATP, sterminando senza pietà gli avversari di Jannik a Doha, Dubai, in America Latina e adesso in California, comandato al timone da Tallon Griekspoor e da Botic Van De Zandschulp, nelle vesti di due inconsapevoli Olandesi Volanti dispensatori di equità. 

Che poi siamo davvero sicuri che provare a curare le proprie sventure con quelle altrui sia la miglior medicina? Non è condividendo uniformemente una fonte di sofferenza con altre persone che se ne alleggerirà il peso: compiacersi per la sventura comune non ci farà sentire meno soli nella nostra infelicitàLe sconfitte di Zverev, l’incostanza di Alcaraz, la pessima forma fisica di Djokovic e i ritiri di Kyrgios inducono a pensare che la vera rotta da seguire nel turbine della tempesta non è segnata da una ancestrale antipatia ma dalla semplice e umana comprensione dell’altro.

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