La parola del Direttore

Sinner, l’Australia da ragazzo, l’America da uomo

Forse un giorno la ricorderemo come una finale facile, ma non è vero, le finali dello Slam non sono quasi mai scontate, tanto più tra giocatori che vogliono affermarsi, non ancora abituati a così alti carichi di responsabilità, giovani come non eravamo più abituati a vederli alzare trofei così importanti, quelli che fanno la storia del nostro sport.

Sull’ultimo errore di Taylor Fritz, Sinner si fa trovare a braccia alzate, sembra un campione di ciclismo sotto il traguardo, nel giorno del mondiale. C’è commozione, non lacrime. E di lì a poco ci sono gli abbracci con Cahill e Vagnozzi, il bacio ad Anna, le strette di mano al pubblico che lo ha apprezzato anche nella giornata in cui lo sconfitto è il ragazzo di casa, quello che avrebbe dovuto rilanciare il tennis statunitense. Ma Sinner è il numero uno, e se c’era un’occasione per ribadirlo, è venuta proprio da questo torneo, nel quale ha dovuto battere tutti, in campo e fuori. Implacabile sul cemento, l’autentico re di questa superficie, che gli ha dato due Slam e due Masters 1000. Forte ovunque, gestore incredibile delle situazioni più complicate… Ha battuto Paul negli ottavi, Medvedev nei quarti, la scheggia impazzita Draper in semifinale, poi Fritz, il più atteso dai padroni di casa. Non solo… Ha sconfitto il doping, i malpensanti a gettone, le malelingue, quelli che pensano di esistere solo parlando male degli altri. Sinner ha affrontato la scalata con l’animo di un ragazzo che vuole divertirsi con quello che fa. Ha vinto tutto e ne è uscito uomo, fatto, esperto, completo. È una storia bella, quella di JS, in una stagione di grandi vittorie per il tennis italiano (due a Flushing, il primo firmato da Errani e Vavassori) ed è probabile che la parte migliore debba ancora venire. Per lui e per noi. Sei trofei vinti in stagione, sedici da inizio carriera, 55 successi e appena cinque sconfitte alla svolta dell’ultimo Slam, 11.180 punti in classifica, sicuro numero uno a fine anno. Chi vuole batterlo deve spingere il proprio tennis al ritmo di quello di Sinner. Fritz, prossimo numero sette in classifica, ci è riuscito per tre game appena…

Anestetizzare l’altrui aggressività, continuando a dare libero sfogo alla propria, è uno dei rebus più antichi del tennis e non è di così facile soluzione come alcuni sembrano ritenere. Non è  una gara a chi ringhia di più, a chi fa la voce grossa, scelte che potrebbero indurre l’avversario a manifestazioni inconsulte e a dare sfogo al peggio di sé, magari per scoprire che quel peggio era proprio la parte migliore di se stesso da calare in un match altrimenti complicato da incanalare sui giusti binari. Piuttosto, la soluzione al busillis, prima di perdersi in un ginepraio di vani tentativi, è quello di offrire all’avversario le dovute dimostrazioni dell’inutilità del suo affannarsi per essere oltremodo irruente e bellicoso. Questa la strada scelta da Sinner, sin dal primo game, segno che il ragazzo è ormai plastilina nelle sue stesse mani, e può modificare forma e struttura fisica in qualsiasi momento della partita, in un amen da solido a gassoso, da insistente a brutale, da morbido nei tocchi a tagliente come una lama. Così, sin dal primo game del match, Jannik ha inoculato a Fritz i dubbi che sarebbero poi serviti a rendere via via più fragile il suo tennis, e magari meno invadenti i cori a sostegno del ragazzo di casa da un pubblico generoso (molti i volti noti, da Dustin Hoffman a Matthew McConaughey con banda a stelle e strisce sulla fronte) ma non troppo convinto delle possibilità del proprio rappresentante. Due in particolare gli aspetti curati da Sinner in questa prima fase, far capire a Fritz che se le sue potenti “prime” non fossero entrate, il punto sarebbe andato al nostro, e come non fosse proprio il caso di addentrarsi negli scambi lunghi. Jannik avrebbe fatto suoi anche quelli.

Così, andato in vantaggio (2-0) e subito ripreso, JS non è sembrato più che tanto turbato dal break subito, e ha lavorato tranquillo ai fianchi dell’americano, presto costringendolo a due nuovi break, per andare in fuga il primo, dal 3 pari al 5-3, e per chiudere la frazione d’avvio il secondo.

Sembra tutto facile, ma non lo è, non ancora. Lo Slam richiede particolari attenzioni, il tempo per recuperare non manca. Sinner si aspettava la reazione di Fritz, nel secondo set, e davvero non si può dire che non ci sia stata. L’attenzione alla prima palla di servizio ha dato buoni frutti, i game con l’americano alla battuta si sono fatti più solidi, meno malleabili, e decisamente più estemporanee per Jannik si sono fatte le occasioni di intrattenere Fritz negli scambi più lunghi. Ma Sinner non ha ceduto il servizio, anzi, lo ha reso quasi inattaccabile e non ha perso nemmeno le distanze dall’americano nel numero degli ace, 5 a 7 per Fritz al termine del secondo set. Spalla a spalla, i due hanno sbagliato poco o nulla, cosa che per Fritz equivale a un’impresa. Sinner ha atteso con pazienza, sicuro che il suo gioco sgorgasse con sufficiente brio dalla sorgente del proprio talento. Ha evitato i pochi svarioni (due addirittura sul colpo a schiaffo in avvicinamento alla rete) concessi nel set d’avvio, e nei momenti più complessi si è trincerato in un gioco di sponda che le sue sortite in lungo linea di rovescio hanno reso perfino imprevedibile. La vicenda si è risolta al decimo game, quando tutti i buoni propositi di Fritz sono andati in fumo su due servizi un po’ banali che hanno dato a Sinner il comando del game. È bastata una palla break, all’italiano, la prima del set, per spingere ancora più indietro Fritz. Due a zero in una ottantina di minuti. Un fardello davvero pesante. 

Lo scenario cambia d’improvviso a metà del terzo. La convinzione di tutti era che l’americano fosse ormai nelle mani di Sinner, tanto più dopo il recupero di un primo game che l’italiano, al servizio, aveva tirato su da un pericoloso 0-40. È stato invece il settimo game a mandare in confusione Sinner, assai poco sostenuto da un servizio improvvisamente restio a trattenere tra le righe la prima palla. Un po’ disperato, ma assai più infuriato con se stesso, Fritz ha impresso un’energia rinnovata ai suoi colpi, scegliendo la via della rete per chiudere tre punti di grande effetto, che hanno liberato finalmente la gioia rumorosissima del pubblico. Avrebbe dovuto giocare sempre così, l’americano. Facile a dirsi… In realtà ci ha provato, ma sul 5-4 è stato troppo avventato nel permettere a Sinner di fare il proprio gioco, dominando gli scambi da fondo. Sul 30 pari, a due soli passi dal set che avrebbe portato la finale al quarto, Fritz ha concesso una palla break, e su quella Sinner, in un niente, ha ribaltato il set a suo favore, rimontando dal 3-5 al 7-5 con un nuovo break al dodicesimo game.

Si chiude qui, con due vittorie per parte, tra Sinner e Alcaraz, la prima vera stagione del rinnovamento. La guida Sinner, dall’alto di un equilibrio che lo spagnolo ancora non riesce a dimostrare. Ma la strada è tracciata, e non c’è posto né per Fritz, né per altri. Siamo nell’era dei SinAl. Sinner e Alcaraz, sono loro i più forti, ma il numero uno è nostro. 

Daniele Azzolini

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