Faccia da poker d’ordinanza, ma con l’Etna in testa e i pensieri roventi come lava. Vita da Sinner… Un esame via l’altro, dove perdere di tanto in tanto sarebbe un diritto che però non può essere preso in considerazione. Solo le vittorie hanno un valore salvifico, ma quelle sul campo sono le più facili da ottenere, mentre ve ne sono altre che vanno ottenute combattendo ai confini della realtà, con armi improprie e avvocati in gamba mentre l’ansia ti stringe alla gola. Lo scopriamo oggi, e la notizia è di quelle che cambiano il senso a tutto ciò che è avvenuto negli ultimi mesi, nei quali Jannik di sicuro è stato costretto a dividersi tra stati d’animo talmente diversi che riscoprirlo sorridente mentre alza il terzo trofeo Mille della carriera, a Cincinnati, vale più di un trionfo, più di un primato in classifica. Anche più di una vittoria nello Slam.
Si è trattato di un confronto aspro, posso comprenderlo solo ora. Con avversari accaniti, e con le fragilità di un fisico che sembra ancora alla ricerca di un compromesso tra la propria primavera e gli sforzi richiesti da un’attività professionistica che vive di un calendario inesorabile. Ma anche con un’accusa di quelle che ti bloccano il respiro e ti portano via la testa, di cui si è saputo solo ieri, nel giorno in cui essa è finalmente caduta, dissolvendosi. Era un’accusa di doping… Animo gente, Sinner ha vinto anche lì.
È successo a marzo, durante il torneo di Indian Wells, leggo dal comunicato diramato dal centro stampa sotto l’insegna della volpe, il simbolo che JS appone su tutto ciò che lo riguarda, affari immobiliari compresi. È una lunga storia… I personaggi sono Sinner, il suo fisioterapista, il suo preparatore atletico e l’Itia, l’International Tennis Integrity Agency. Durante il torneo in California Jannik fa un test di ordinanza, ma ad aprile viene informato di essere risultato positivo a un oligominerale di un metabolita del Clostebol, uno steroide, dunque una sostanza ritenuta dopante. C’è un dato che evita un’accusa formulata per vie dirette, con tutti i crismi di una sentenza già in divenire. La presenza del Clostebol è minima, un’ombra appena: un miliardesimo di grammo, anzi meno. L’Itia, come d’uso, chiede informazioni, e lo fa in silenzio, probabilmente convinta che un caso conclamato di doping avrebbe portato alla luce ben altri parametri. Ma occorrono prove utili a scagionare Sinner.
Si vivono ore palpitanti nello staff di JS, il rischio di stress è forte, perché tutti sono chiamati a frugare nelle rispettive memorie, per portare alla luce qualsiasi informazione utile. E c’è da affrontare anche la normale attività sul circuito, sulla quale d’improvviso si stende impietosa la coltre di un infortunio grave e non previsto, all’anca, che rende affannate le tappe successive. I ritiri a Madrid, poi a Roma, le visite al JMedical della Juventus per venire a capo del problema (voci insistenti dicono sia connaturato al fisico dell’atleta, e se ne possa venire a capo solo con il tempo), poi il Roland Garros, affrontato con appena cinque giorni di preparazione.
Ma l’anca alla fine si acquieta (anche se tornerà a farsi sentire proprio durante il torneo di Cincinnati), e anche Sinner vede la luce. Tutti i prodotti farmaceutici utilizzati nel periodo sono stati rivisti nell’ottica della ricerca utile all’Itia, ed è saltato fuori che uno di questi potrebbe avere svolto la sua parte nella vicenda Clostebol. Si tratta di un farmaco da bancone, comune in tutte le farmacie italiane, acquistato dal preparatore atletico per il fisioterapista, che si era ferito a un dito. Possibile? Sì, è così, quel farmaco contiene ciò che si sta cercando. Il fisioterapista, inconsapevole, l’ha utilizzato poi ha eseguito su Sinner dei trattamenti senza guanti, e quell’ombra di Clostebol è transitata da una ferita all’altra, delle molte che rappresentano la norma nel fisico di un tennista, per solito martoriato da vesciche di ogni tipo. È la spiegazione. L’Itia ne prende atto: contaminazione involontaria. Con l’aggiunta in positivo della collaborazione totale offerta da Sinner e dal suo staff, e dall’accettazione completa dei regolamenti vigenti. C’è un dazio da pagare, là dove viene punita la disattenzione che ha innescato così tanti mesi di incertezza. Quel farmaco non andava acquistato né utilizzato. Sinner (responsabile di tutto ciò che accade nel suo staff, pur essendo inconsapevole, dice il regolamento) pagherà restituendo i dollari (400 mila) e soprattutto i punti della semifinale conquistata a Indian Wells. Quattrocento in tutto.
«Mi lascio alle spalle questo periodo difficile e profondamente sfortunato. Continuerò a rispettare le regole comuni, come ho sempre fatto, e ringrazio il mio staff per la meticolosità con la quale ha interagito in questo caso». È la dichiarazione di Jannik apposta a sigillo del comunicato. L’avvocato che l’ha seguito, Jamie Singer, aggiunge che «le regole antidoping devono essere molto rigide per essere efficaci. Purtroppo, occasionalmente, atleti del tutto innocenti vengono coinvolti. Non c’è dubbio che Jannik sia innocente in questo caso». La decisione è stata presa il 15 agosto scorso, ed «è appellabile dalla Wada e dalla Nado», ovvero dall’agenzia antidoping mondiale e da quella italiana, ma l’Itia ha già fatto sapere che non presenterà ricorso.
Mi chiedo se gli ultimi tre giorni nella vita di Jannik Sinner possano essere d’insegnamento per chi ama esprimere frettolosi giudizi ammantandosi della bandiera della superficialità e del pressapochismo, e convincere anche i più restii ad attendere che tutto prenda forma definitiva, prima di essere costretti a battere in ritirata. Hope is the last to die, la speranza è l’ultima a morire. Anche perché può essere suffragata da eventi che, rivisti nell’ottica di quanto si è saputo, assumono un valore quasi miracoloso. Come la vittoria a Cincinnati su Tiafoe, conquistata – è il caso di dirlo – contro tutto e contro tutti. La seconda quest’anno in un Mille, la terza in carriera, in una stagione che ha portato anche i trofei degli Australian Open, di Rotterdam, di Miami e di Halle. Cinque successi, che spingono Sinner in alto rispetto a una concorrenza che vede Alcaraz (con due Slam, però) e Berrettini a tre vittorie.
Una prova di grande devozione allo sport che Sinner presiede, quella di Cincinnati, tanto più considerando il successo in semifinale su Zverev, quasi il convitato di pietra in questa stagione miracolosa del ragazzo dei monti, che prese le mosse proprio dalla sconfitta con il tedesco (mai più incontrato fino a Cincy) agli US Open di un anno fa. E che dà nuovo slancio a JS verso lo Slam americano, in scena da lunedì prossimo. Sinner vi giungerà finalmente spensierato. Anca permettendo…
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