Non è stata la più forte, forse la più grande se per “grandezza sportiva” s’intende la capacità di entrare nel cuore della gente, di farsi riconoscere e ricordare, e di lasciare qualcosa di sé alla storia dello sport che si è praticato. E Lea Pericoli, spirito libero, al tennis ha lasciato molto, e in molti […]
Da un po’ il clima nell’universo tennistico ha allentato buona parte di quella grande tensione che si era accumulata nel primo anno di invasione della Russia in territorio ucraino, con gli attacchi, provocazioni, richieste di squalifica e accuse che avevano sollevato polveroni continui. Adesso, tra le tenniste ucraine e quelle russe e bielorusse c’è perlopiù un muro: non si parlano, probabilmente non si rispettano, ma tra un’associazione (la WTA) che non ha mai voluto ascoltare una voce o l’altra per continuare sulla sua strada e un caso come quello successo ad Aryna Sabalenka che ha spaccato del tutto il normale rapporto tra stampa e tenniste, i casi sono stati sempre meno considerati e si è come cercato di andare avanti ognuno per la sua strada.
Il problema però è tutt’ora reale, dato che ancora non si stringono la mano a fine partita, come reale è anche quello che sta avvenendo in Ucraina. Le ultime notizie di cronaca, con la pioggia di missili russi che hanno colpito ospedali civili in tre diverse città del paese, compreso il complesso per la cura di bambini malati di cancro a Kiyv. L’ennesimo attacco sulla popolazione, mirando direttamente ai più fragili, ha shockato l’intera squadra ucraina ed Elina Svitolina è andata in campo oggi per il suo match di ottavi di finale con un vistoso fiocco nero legato sul vestito in segno di lutto. La sua partita contro Wang Xinyu è stata apparentemente una formalità: 6-2 6-1, tra l’altro con un livello davvero alto della semifinalista dello scorso anno che ha subito preso il controllo del ritmo e delle intenzioni della cinese per ridirezionare la palla e attaccare a sua volta. Una prova pulita, da grande giocatrice, malgrado per buona parte della carriera non abbia avuto un feeling enorme con la superficie.
Un’ora e poco più scollegata dal mondo, focalizzata solo su se stessa, senza titubanze nemmeno quando doveva chiudere la partita. Soltanto dopo il match point, calata l’adrenalina, uscita dalla sua bolla, ha cominciato a subire le tante emozioni diverse che c’erano in lei e dopo aver salutato il pubblico battendosi più volte la mano sul cuore si è seduta al proprio angolo cominciando ad avere gli occhi lucidi. Si è poi diretta verso l’intervistatrice che ha fatto una domanda quasi di prassi sul gran match completato e sulle sensazioni in questo stato di forma e lei, dopo averla ringraziata, altre tre parole e non ce l’ha più fatta crollando in un pianto copioso che non l’ha più fatta parlare, confortata un po’ da un lunghissimo applauso del pubblico del Court 2.
Son due anni che lei, come le altre connazionali, sta tenendo con sé tutto quanto sta avvenendo. Alle volte andare in campo e pensare solo a giocare è la cosa più facile, da un lato, e più difficile, dall’altro. Può essere uno sfogo, o anche solo un modo per ricordare che per quanto il mondo si sia assuefatto alla situazione e abbia normalizzato tante cose non solo in Ucraina (perché qui non si fanno paragoni né confronti), queste ci sono, avvengono, e stanno avendo forti implicazioni sulla vita di tutti.