Roma senza più italiani, vince chi si prende più pubblico

L’ultimo degli italiani lascia un’eredità preziosa. Non è d’oro, ma vale di più. Niente di nascosto né di irraggiungibile, non è come il tesoro dei pirati, celato in qualche anfratto nell’isola di Matanceros, tra Isla Muerta e Isla Tacano (cfr. “L’isola dei Pirati”, Michael Crichton), non lontane dalle coste della Giamaica e da Port Royal.

Un tesoro a portata di mano, composto da svariate generazioni riunite nel club tennistico più tifoso del mondo. Dai nonni con la racchetta di legno, acquistata ai tempi di Panatta, magari proprio una Wip autografata, ai padri che quella racchetta l’hanno sempre vista in casa e gli ha trasmesso la voglia di acquistarne un’altra, più moderna, più scattante e leggera. Fino ai nipoti. È il fatidico consorzio dei Tifosi del Foro, il miglior partito con cui stabilire un connubio tennistico. Credetemi… Chi se lo prende, ora che è libero dal tifo istituzionale per i colori di casa, può trarne le energie necessarie a vincere questo torneo, che molte disdette ha subito in queste giornate, ma ha riportato in vita il volto più passionale del tennis all’italiana.

L’ultimo “dei nostri” è Stefano Napolitano, classe 1995, che un anno fa, di questi tempi, era il numero 596 della classifica. Uno che di mazzate ricevute dalla sorte ne ha subite parecchie, ma è sempre rimasto in piedi, aggrappato alla tolda anche nelle intemperie, da autentico capitano della sua nave. Una nave con destinazione “tennis”, ovunque fosse. Ma sempre da solo, perché i coach costano e Stefano i soldi li ha dovuti investire nelle cure per tirarsi fuori dai guai fisici. Due ernie addominali, il gomito, il tendine rotuleo… Cercava tennis e un pizzico di fortuna, una volta tanto l’ha trovata, anzi, giusto in tempo… Perché a 29 anni c’è ancora un bel po’ di energie da mettere sul campo, e lui ha voglia di farlo. L’amico Berrettini (si sentono, tra continui sms) che i primi ritiri del torneo avevano promosso nell’entry list del tabellone, gli ha girato di fatto la sua wild card, e il sorteggio li ha posti subito l’uno contro l’altro. Poi, anche Matteo si è ritirato, e Stefano è finito contro Gei-Gei Wolf. Lo ha battuto, la sua seconda vittoria in un torneo del Tour (la prima nel 2017 fu al Roland Garros contro Misha Zverev, fratello di Sascha). Avrebbe dovuto incrociare le racchette con il francese Humbert, ma niente, ritirato anche lui. Gli è toccato il cinese Juncheng Shang, e nel secondo e terzo set Stefano non gli ha fatto toccare palla. Non basta, da Berrettini gli viene anche il rapporto con Stefano Massari, mental coach, uno di quelli bravi. E il connubio funziona. Ma Stefano è giunto a questi Internazionali da numero 125, grazie a due vittorie challenger ottenute quest’anno. A dire che dai guasti della sua carriera ne era uscito già prima delle fortune romane. «Vorrei dare un messaggio di speranza ai ragazzi che non sono fenomeni a 18 anni», aveva detto Stefano nei giorni scorsi. «Se avessi dovuto rispettare le regole e le scadenze che imperano oggi avrei dovuto smettere da tempo. Sono stato sul punto di farlo molte volte. E invece eccomi qui, a 29 anni, a cercare ancora di dare il meglio di me».

Questo il tragitto compiuto per giungere alla sfida con Nicolas Jarry, cileno, oggi accreditato del numero 22 a livello mondiale. Un altro dei tanti da “rimettere in sesto”, in questo tennis in cui tutti stanno male. Nipote di un nonno e uno zio famosi in Cile, i cui nomi si accompagnano a quelli di Panatta, Bertolucci, Barazzutti, Zugarelli e Pietrangeli nelle giornate della Davis 1976. Il nonno è Jaime Fillol, punta della squadra cilena cui sfilammo la Coppa. Lo zio è Alvaro Fillol, l’unico a segnare un punto per il Cile. Ma Nicolas, figlio di Cecilia Fillol, pallavolista, è stato cresciuto sul campo da tennis da nonno Jaime. Cresciuto bene, data l’altezza (1,98) e la classifica. Trovato positivo a un controllo a inizio 2020, Nicolas subì una squalifica di dieci mesi e ripartì con zero punti in classifica alla fine di quello stesso anno. Alla fine ce l’ha fatta a risollevarsi, e a trovare l’assetto migliore del suo tennis, che unisce grandi botte da fondo campo a discese a rete forse un po’ telecomandate, ma sempre di grandi impatto.

Napolitano è stato bravo a rimettere in piedi un match che nel primo set era stato dominato dal servizio-dritto di Jarry. Obbligando il cileno a palleggiare da fondo l’ha spinto a collezionare errori facili, ma nel terzo la sfida ha ripreso quota e vigore. A decidere il match è stato il quinto gioco, durato oltre dieci minuti, nel quale Jarry ha saputo spingersi in avanti nei momenti più saturi di suspence. Un set che l’italiano ha perduto giocando bene, nel quale ha trascinato il pubblico (bravo anche nell’applaudire il cileno sui colpi migliori), e che certo gli servirà per ottenere a breve quel posto tra i Top 100 che insegue da una vita.

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