Un anno fa Jannik Sinner conquistava a Indian Wells un’ottima semifinale che fu anche il trampolino di lancio per 12 mesi indimenticabili, culminati di recente col trionfo all’Australian Open e la successiva vittoria nell’ATP 500 di Rotterdam. Ora l’azzurro è tornato nel deserto californiano, presentandosi ai microfoni nella conferenza stampa di presentazione del primo ATP 1000 della stagione.
Sono contento di essere qui” ha esordito, “in uno dei tornei più importanti del calendario. È bello avere un bel feeling con la folla e spero di far vedere del bel tennis anche qui”. Di seguito al trascrizione:
Quando ti sei sdraiato sul campo al termine della finale (all’Australian Open, nda), c’è una parte di te che pensava che fosse solo questione di tempo, che quel momento prima o poi sarebbe arrivato, oppure hai pensato ‘non posso credere a quello che ho fatto’?
Non si è mai sicuri di poter conquistare questi traguardi, specialmente quando sei più giovane, sognando di fare il tennista professionista. Non avrei mai pensato di diventare così forte. Provengo da una famiglia piuttosto normale e dove sono cresciuto si praticano più gli sport invernali. Ho sempre e solo cercato di migliorare, naturalmente ci sono certi momenti in cui ci si rende conto di poter fare una buona carriera, ma ora ho un approccio diverso, so di potercela fare. Tuttavia soltanto tre anni fa la situazione era completamente diversa: sapevo di poter giocare un buon tennis, e di poter competere con i migliori al mondo, e per ora questa è la cosa più importante.
Il fatto di essere andato a Rotterdam dopo la vittoria in Australia e di essere riuscito a portare a casa un altro titolo, ti fa sentire orgoglioso?Il tennis è uno sport che permette sempre di porsi nuovi obiettivi, nuovi traguardi, indipendentemente da quello che si è appena vinto. Sapevo che c’erano punti importanti in palio per conquistare il mio best ranking, e questo mi ha dato una grande motivazione. Naturalmente la cosa più importante è sempre quella di migliorare come tennista, ed è per questo che si continua a lavorare, indipendentemente dai risultati.
Quale aspetto del tuo gioco ha beneficiato maggiormente dell’input di Darren Cahill come coach?
Lui e Simone formano un team formidabile. Simone si occupa più della parte tecnica, con anche un po’ di tattica, mentre Darren si occupa più della parte mentale, di come rimanere concentrato durante il match, di non perdere la calma senza sprecare energie, è un grande motivatore. La combinazione delle loro capacità rende il team davvero molto forte, si capiscono molto bene, e non avrei mai potuto vincere quello che ho vinto senza il loro aiuto.
Jasmine Paolini ha detto che i tuoi successi le hanno dato una grande spinta, così come a tutto il tennis italiano. Formate un gruppo molto unito, voi giocatori italiani?
Credo che tutto sia iniziato diversi anni fa, a livello femminile con Schiavone e Pennetta, e poi con Matteo che ha raggiunto la finale di uno Slam, ma anche Fognini che ha vinto il Masters 1000 a Monaco. È bello per me essere parte di questo gruppo di giocatori che si spronano a vicenda. Mi sento molto fortunato, e spero di poter aiutare gli altri a raggiungere il loro meglio, ma alla fine ognuno di noi segue la propria strada. Ciò che conta è fare in modo che sempre più ragazzini prendano in mano la racchetta e inizino a giocare a tennis.
Aryna Sabalenka ha detto che ha avuto bisogno di circa una settimana per tornare con i piedi per terra dopo la vittoria in Australia. Di quanto tempo hai avuto bisogno tu? E dove hai posizionato il trofeo Norman Brookes?
Il mio appartamento a Monaco è davvero molto piccolo, per cui appena si entra si nota immediatamente la coppa. In realtà non ci ho messo molto a tornare alla realtà, perché ho dovuto fare alcune cose a Roma subito dopo la vittoria, ma mente ero a Roma ho subito ricominciato a lavorare in palestra. Sono convinto che anche quando si vivono momenti speciali come quello, poi bisogna ripartire e rifare tutto da capo. E anche quando si perde ci sono momenti negativi che però rimangono confinati lì, non durano tutta la carriera. Abbiamo celebrato per un giorno, ci siamo divertiti, ma poi siamo andati a casa e abbiamo ricominciato da capo.
Quanto è importante gestire nella maniera corretta la prima grande vittoria e non montarsi la testa?
È molto importante. Sono convinto di avere così tante cose da imparare prima di poter raggiungere il mio potenziale in tanti aspetti del mio gioco. E questa è anche la parte più divertente: vedremo quali saranno i risultati che si riusciranno a ottenere.
Questa prima parte di stagione è stata molto positiva. Che tipo di lavoro tuo e il tuo team avete intrapreso dopo il torneo di Rotterdam per prepararvi a questa parte di stagione che di fatto sarà quasi senza pause fino ad agosto?
Mentalmente io e il mio team siamo abbastanza aperti all’idea di lavorare anche durante i tornei, e questo puntiamo a far sì che sia una parte chiave per il futuro. Abbiamo lavorato tanto dal punto di vista fisico, abbiamo lavorato anche in campo per aumentare il numero di variazioni, per preparare anche me stesso ad affrontare gli avversari che ormai mi conoscono meglio. Sarà una bella sfida per me, non vedo l’ora di ripartire e vedremo cosa succederà.
Fuori dal campo, negli ultimi mesi, ti è successo tanto. Sei passato a San Siro di fronte a 60/70mila persone. Vinci l’Australian Open e l’Italia intera che parla di te… Hai detto più e più volte di come riesci a pensare a te stesso, però c’è stato un momento in cui ti sei fermato e hai pensato: “Oddio, ho fatto qualcosa di clamoroso?”?
Certamente ci sono dei momenti in cui me ne rendo conto. Io vivo con pochissimo contatto con i social, in Italia praticamente non ci sono mai, sento tanto però l’affetto che mi dà la gente, che mi da il popolo italiano. Tuttavia la cosa più importante rimane il lavoro: io sono ossessionato dal lavoro, se non lavoro sto male, e la cosa più importante è che io mi senta bene.
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