Non è stata la più forte, forse la più grande se per “grandezza sportiva” s’intende la capacità di entrare nel cuore della gente, di farsi riconoscere e ricordare, e di lasciare qualcosa di sé alla storia dello sport che si è praticato. E Lea Pericoli, spirito libero, al tennis ha lasciato molto, e in molti […]
Ridi Jasmine, ridi. Ora non serve altro. Ridi perché hai portato a termine un’impresa che per te vale oro. Ridi perché a 28 anni hai messo in bacheca qualcosa di incredibile come un titolo WTA 1000., premio all’encomiabile atteggiamento tenuto da mesi rispecchiatosi in una settimana indimenticabile. Non ci si crede, tu per prima, eppure è tutto vero: Jasmine Paolini campionessa al WTA 1000 di Dubai: suona bene, vero?
Poteva essere eliminata al primo turno contro la numero 11 del seeding, Beatriz Haddad Maia, quando era dietro 4-6 2-4 e doppia chance di doppio break da fronteggiare. A cinque punti dalla sconfitta. Non è mai stata così vicina a perdere prima del game odierno per Anna Kalinskaya sul 5-3 e 5-4 al set decisivo, quando erano “solo” quattro (i più importanti, i più duri, e lo si è visto), ma è stato un torneo passato sempre a rincorrere. Dopo i dieci game consecutivi contro Haddad Maia per chiudere in gloria, ecco arrivare due serie da cinque contro Leylah Fernandez, prima dall’1-3 nel set d’apertura, poi da 1-4 e palla dell’1-5 per la canadese nel secondo. Lo 0-2 0-40 ripreso contro Maria Sakkari al terzo, i sei set point cancellati a Sorana Cirstea in semifinale. Infine, il 4-6 1-3 e il 3-5 nel terzo set della finale, divenuti un indimenticabile 4-6 7-5 7-5 che l’ha vista saltare e impazzire di gioia. È successo davvero. Un qualcosa che fa ancor più stupore del successo recente di Jannik Sinner, perché per lui il destino sembrava condurlo prima o poi a giocarsi uno Slam, un torneo “pesante”. Jasmine era nelle retrovie di questi palcoscenici. Ha passato un ultimo anno dove è cresciuta tanto, ma confrontarsi qui vuol spesso dire avere sorteggi nefasti, avversarie fortissime e, soprattutto nell’ultimo anno e mezzo circa, una discreta razzia di grandi tornei a opera delle solite note.
Lo dicevamo dopo Doha: dallo US Open 2022 soltanto in 4 tornei su 20 non abbiamo avuto in una finale di questo livello una tra Iga Swiatek, Aryna Sabalenka, Elena Rybakina o Coco Gauff, con il numero comunque molto più sbilanciato verso le prime tre, capaci di staccare le altre nel rendimento ma soprattutto di essere piuttosto continue nei grandi tornei. Non sono ancora numeri allucinanti, perché le sorprese ci sono e ci saranno, ma danno l’idea di quanto gli spazi per le outsiders si siano ridotti notevolmente. Qui a Dubai invece si è incastrato tutto, un allineamento di pianeti che ha portato Swiatek a pagare dazio con un rendimento in calo per lo sforzo di due settimane pesanti, Rybakina a ritirarsi in condizioni di salute non ideali, Sabalenka a perdere per la prima volta all’esordio da Roma 2023. Ci vuole anche un po’ di fortuna, ma poi è tutta bravura nel raccogliere l’occasione forse più unica che rara.
Non si è mai sottovalutata Anna Kalinskaya, che ha enormi meriti essendo arrivata appena fuori dalle prime 20 del mondo quando meno di due mesi fa era 80 e a Dubai ha battuto tre top-10 come Aljona Ostapenko, Gauff e Swiatek dopo essere partita addirittura dalle qualificazioni. Era, anche per lei, la settimana della vita. Oltretutto perché al contrario di Paolini non aveva nemmeno un trofeo nel circuito maggiore. Invece il suo sogno si è infranto, tra nervi ed errori, proprio sul rettilineo finale. Era calata rispetto alle giornate precedenti, soprattutto rispetto alla prova condotta contro Swiatek in semifinale, ma con tenacia era arrivata a un passo dal suo sogno. Il tennis, non lo scopriamo oggi, in certi momenti è qualcosa di diabolico. Jasmine, che pure aveva cominciato con qualche difficoltà di troppo col dritto ha concluso arrembante, vedendo l’avversaria che non era più libera di mente, fiutando l’occasione del colpaccio.
Possiamo parlare di campionessa ‘1000’ tra le più improbabili, e forse non andremo nemmeno tanto lontano dalla verità, per quanto sia davvero difficile fare paragoni con (per esempio) Maria José Martinez Sanchez a Roma nel 2010. Paolini, in quest’occasione soprattutto, incarna il profilo della tennista che ha ribaltato ogni pronostico per arrivare a traguardi visti solo da lontano. Dopo la semifinale diceva che avrebbe dato del matto a chiunque a inizio torneo le parlava di una sua prossima classifica in top-20, ora ha dedicato un bel pensiero a Patricia Tarabini, allenatrice proprio di Kalinskaya, definita durante la premiazione una delle persone migliori del circuito e che in un incontro nella zona giocatrici durante i quarti di finale le aveva detto: “Dai che ci vediamo in finale”. Jasmine: “Ma sei seria?”. E alla fine ha avuto ragione lei.
Un titolo che la ripaga con enormi interessi di anni di lavoro e grande dedizione assieme a Renzo Furlan, che l’ha conosciuta ormai una decina di anni fa e che si occupa di lei a tempo pieno fin da quando nel 2018 concluse il rapporto con la federtennis serba. Lui che era arrivato fino al numero 19 del mondo a livello ATP, è stato figurativamente “superato” dalla sua allieva a cui ha dedicato anima e corpo. Jasmine, fin qui, ha banalmente abbattuto muri su muri tra cui il classico e inflazionato pensiero su un’altezza non propriamente adatta al tennis moderno, a meno che tu non sia un profilo da campionessa con tutti i crismi come Justine Henin, o anche di recente Ashleigh Barty.
E ride, Jasmine. Ride di gusto. Lei che ha sempre avuto quel sorriso enorme stampato in volto, come quando a 18 anni vinse un titolo ITF da 10.000 dollari a Viserba, Rimini, dominando in finale Anna Giulia Remondina e nella premiazione volle ringraziare pure i gestori del bar/ristorantino del circolo tennis per averle cucinato giorno per giorno in maniera squisita. Talmente carina, in quella circostanza, da lasciare alla ragazza al bancone una mega dedica autografata come ricordo mentre sulle tribune, dopo la finale, i coach dell’impianto dicevano tra loro che avevano visto giocare una che poteva “arrivare”. Con più probabilità si riferivano a un piazzamento in top-100, magari top-50. Da lunedì invece sarà addirittura numero 14 al mondo. Davanti a lei come best ranking di tenniste italiane abbiamo solo: Francesca Schiavone (n.4), Sara Errani (n.5), Flavia Pennetta (n.6), Roberta Vinci (n.7), Silvia Farina Elia (n.11) e Raffaella Reggi (n.13). È arrivata in un’altra dimensione.