Musetti si è fermato a Parigi e Djokovic: storia di un talento immobile

Non ci piace gran che quello che stiamo vedendo (e fin qui sai che novità…).

Il programma è sempre lo stesso, non pare che possa minimamente discostarsi dalla sua monotona trama, che va avanti ormai da due anni e mezzo. “Qualcosa dovrà pur succedere! Non si può andare avanti così!” echeggia nella nostra mente di aficionados… E improvvisamente si spegne la luce.

Parte una musichina inquietante di sottofondo che conosciamo molto bene e da un lato della stanza si accende una lampada da comò, mentre entra su un triciclo cigolante un pupazzo da brivido vestito in smoking e con gli occhi iniettati di sangue. La voce baritona di Alessandro Rossi risuona nella stanza: “Salve Signor Appassionato di tennis. Voglio fare un gioco con te. Da oggi tutti i tornei dello slam saranno giocati due su tre e non tre su cinque…”

Nooooo…

La verità è che la trama della carriera slam di Musetti sta diventando alquanto ripetitiva. Quasi masochista, direbbe il cinico. Pronti via e parlando di italiani spunta sempre fuori un “ah ma come gioca Musetti…”

Fatto sta che da due anni a questa parte ormai ci troviamo ai nastri di partenza di un torneo del Grande Slam a fare il tabellino delle speranze, eccitati da prestazioni precedenti che fanno annusare finalmente un cambio di rotta. Per poi invece assistere alla solita solfa.

Ogni slam, appena aggiornato il doveroso capitolo Sinner, entrato ormai di diritto nella scaletta principale (visti i tempi il termine calza a pennello) di ogni pronostico, commento, previsione possibili e immaginabili, quando si arriva al punto di chiedersi “E gli altri italiani cosa possono fare?” la risposta ormai (anche visti i dolori del non più propriamente giovane Berrettini) parte sempre con lui: Lorenzo Musetti. E giù lodi sul suo rovescio… E il gioco vario… E lo slice… E gli approcci… E “può dare fastidio a chiunque”… E “è pronto per il grande salto”…

Tutte cose sentite a più riprese, come se l’avere talento al giorno d’oggi sia una specie di bomba a orologeria il cui timer debba raggiungere prima o poi lo zero, esplodendo in un exploit doveroso o dettato dal destino. Peccato che il timer di Musetti sia stato messo su “infinito” o che per la bomba abbiano usato le batterie del coniglietto brutto della pubblicità delle Duracell.

La sua carriera slam pare essersi incastrata tra un loop di quel vantaggio di due set su Djokovic al Roland Garros del 2021 e sconfitte da far cadere le braccia anche al più paziente certosino. Perché se da un lato è quasi autolesionistico perdere per il secondo anno al quinto a Parigi (nel 2022) da due set sopra, dall’altro si rasenta l’impensabile di fronte a uscite contro avversari ai quali un tennista del suo talento dovrebbe lasciare le briciole. Opelka, Ivaska, Lloyd, Droguet (con classico crollo in vantaggio di due set a uno), per non parlare dell’ultima eliminazione ad opera di Van Assche (toh, al quinto, dopo essere stato due set a uno – tanto per confermare la tesi) sono sconfitte che finiscono per delineare un tennista che, malgrado un repertorio di colpi che presi saltuariamente finiscono spesso nelle top 10 settimanali, migliora quanto un Buondì Motta in frigo. Insomma, non ci siamo.

Il neofita del tennis potrebbe incappare su Wikipedia e trovare una sfilza di record che si aprono con un allitterante “il più giovane tennista italiano a…”

Ma nei tornei che fanno davvero di un tennista un campione, quello che Musetti potrebbe (e col tempo il condizionale rischia di diventare imperfetto) diventare, essere stato “er mejo der bigoncio” da giovane conta quanto il due di fiori quando briscola è picche. Anzi, quel titolo juniores agli Australian Open alla lunga poi diventa un macigno, se non evolvi, non cambi, non migliori. Si parla spesso del suo fisico, che sembra sempre lo stesso, e di una capacità atletica che, pur essendo centrale nel tennis odierno, continua ad essere deficitaria e puntualmente critica nei match a lunga durata quando la si riferisce a quello che molti hanno definito in maniera (finora) abbastanza delirante “il Federer italiano”.

Si parla tanto dell’importanza della testa e della mentalità giusta nello sport di oggi, eppure gli vediamo commettere sempre gli stessi errori di tattica, per poi perdersi appena le cose non vanno nel verso giusto. Cosa che puntualmente poi accade nei tornei dello slam, quando c’è da stare “sul pezzo” per più di due ore e fare quel passo in più per scrollarsi di dosso i problemi del passato. Si può stare un giorno intero a decantare un suo elegante rovescio in lungo linea vincente a una mano; a elogiare quel suo stile così diverso rispetto a un Sinner, che sta lui sì veramente trovando la via del successo. Se guardiamo la favola tennistica che l’Italia sta vivendo, vedere finalmente sbocciare anche Musetti in questo momento sarebbe una cosa grandiosa per il nostro tennis. Eppure, tanto per fare un paragone, la Davis l’ha portata a casa in gran parte Sinner (e ci mancherebbe, visto come pi sono andate le cose in Australia), finendo per offuscare indirettamente il tennista toscano, che da par suo si era già spento in semifinale, malgrado il suo famoso rovescio da sogno…

Peccato che però un colpo non si vincono le partite, e di sicuro non quelle di cinque set. Così come col solo talento non si diventa fenomeni, non più ormai. Fosse ancora così, Gasquet (con tutto il dovuto rispetto) avrebbe vinto tredici slam.

Ormai durante i tornei dello slam non c’è partita di Lorenzo dove non ci si debba aspettare il crollo, come se quella frazione così storta di numeri dispari data dai set da vincere rispetto a quelli totali non vada proprio giù al nostro eroe.

Probabilmente se davvero gli slam si giocassero due set su tre vedremmo un altro Musetti. Ma sarebbe anche un altro sport. Che probabilmente ci sembrerebbe davvero un film dell’orrore, pensando ai grandi tornei del passato. E poi, quando mai si è visto uno sport che si adatta a un giocatore e non il contrario? Però il tempo passa, e prima o poi tocca cominciare a “mantenere”, altrimenti si rischia di passare alla storia come la solita “eterna promessa”.

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