Editto bulgaro/ Sinner sì, Sinnermania no!

Per fortuna lui è meglio di noi. Di tutti noi, incluso chi scrive. Anzi, prima che qualcuno me lo rinfacci, mi costituisco immediatamente: ho seriamente rischiato di essere travolto dalla Sinnermania!

D’altra parte, mi capirete. Come io capisco voi. Insomma, possiamo tranquillamente invocare le attenuanti del caso. Un tennista italiano non vinceva uno Slam in campo maschile da quasi 48 anni e tutti noi appassionati di tennis per tanti, troppi anni, eravamo ridotti ad esaltarci se un italiano si affacciava alla seconda settimana d’un major.

E allora un quarto di Caratti in Australia o di Sanguinetti a Wimbledon erano vissuti come veri e propri trionfi, senza starci troppo a chiedere se quei percorsi fossero stati agevolati da tabelloni fortunati o da non si sa quale allineamento di pianeti. Ci accontentavamo di poco, ci eravamo assuefatti alla mediocrità.

Così quando è spuntato fuori questo promettente ragazzino roscio, così anomalo rispetto ai nostri canoni che nei cambi di campo addirittura rosicchiava carote e sembrava reagire con apparente nonchalance anche di fronte ai primi significativi successi, abbiamo iniziato ad addrizzare le antenne e a crederci di brutto.

Va da sé che, siccome siamo geneticamente fatti male, ai primi normalissimi stop abbiamo subito caricato le armi e mirato ad alzo zero: s’è montato la testa, non è fisicamente all’altezza, non ha la mentalità del campione, perde sempre contro i top players. Quando poi il giovanotto ha addirittura osato cambiare coach, qualcuno è arrivato anche a dargli dell’ingrato. La punta dell’iceberg s’è toccata ovviamente quando – come decine di altri giocatori in Italia e non solo – ha chiesto di non essere convocato in Coppa Davis. Esatto, non ha rifiutato la convocazione: d’accordo col Capitano ha chiesto (e gli è stato concesso) di non essere convocato. Apriti cielo: caso Nazionale e deliri vari.

Poi però arriviamo a fine 2023 e il nostro letteralmente esplode. Un torneo dopo l’altro, scalpi importanti, finale a Torino e – ciliegina sulla torta – la Coppa Davis dopo 47 anni. Da caso Nazionale ad eroe allora è un attimo!

Eccoci in Australia. Non la faccio troppo lunga, la storia è ancora fresca, freschissima. Lui è attesissimo e non delude. Si presenta in forma smagliante e vince il titolo, il suo primo Slam, non grazie ad una serie di fortunose circostante, ma battendo nell’ordine i numeri 5, 1 e 3 del mondo. Un trionfo. Eurosport straccia il suo record di ascolti, l’Italia – com’è giusto che sia – è incollata davanti al televisore come non accadeva dai tempi di Tomba, Pantani e Valentino Rossi.
Jannik ormai è un personaggio non solo nazionale, ma globale. L’hashtag #Sinner diventa virale su X, i suoi video su YouTube si moltiplicano. Insomma, è ovunque. E – ripetiamolo forte e chiaro – è giusto così.

Poi però rientra in Italia e qui iniziano i dolori. Praticamente è accolto come un capo di Stato, mancava solo la fanfara sotto la scaletta dell’aereo e, povero Cristo, gli tocca adempiere a una serie di impegni istituzionali che manco Joe Biden!

Prima la Meloni si vuole congratulare con lui. Ci sta, è la premier. Poi gli aprono il Colosseo per foto ricordo con la coppa. Qui viene raggiunto dal ministro della cultura Sangiuliano e persino dalla ministra del turismo Santanché (sic). Nel frattempo parte la telenovela Sanremo si, Sanremo no. Addirittura Amadeus lo invita pubblicamente come ospite, facendo circolare un video che diventa subito virale su social e non solo. Avrà pensato: ti pare che orma mi dice di no? E invece, pensa, gli ha proprio detto di no.
Tutto qui? Macché. Qualche giornalista desideroso di vedere il suo nome appaiato a quello di Sinner, l’indiscusso personaggio del giorno, ritira fuori la polemica sulla fiscalità e sulla sua residenza monegasca. Sono giornate intense, piene, dove tutti si sentono in dovere di dire la loro al proposito. Persino Anna Falchi (ari-sic) s’è sentita in dovere di definire Sinner “freddo e poco empatico” solo perché aveva avuto l’ardire di non accettare l’invito a Sanremo. Grazie al cielo qualcuno deve averle fatto notare di averla sparata troppo grosso e il giorno dopo s’è scusata.
Questo tour de force non poteva non finire con la visita (già fissata) al Quirinale, dal presidente Mattarella, per celebrare la vittoria della Coppa Davis. Ottima occasione per prendere due piccioni con una fava e festeggiare anche il trionfo australiano di Sinner.

Ora, non vorrei apparire troppo bacchettone. L’esaltazione ci sta, è più che comprensibile. Soprattutto dopo un digiuno (in campo maschile) di quasi 48 anni. Quello che non ci sta è spedire un giornalista tra le montagne per tentare di intervistare i genitori (respinto con perdite). O organizzare interi pomeriggi televisivi in cui si analizza Sinner in tutte le sue sfaccettature esclusa, guarda un po’, la più importante: il tennis.
Insomma, esaltiamoci ed esaltiamolo per quello che fa in campo e basta, senza lasciarci incuriosire dal gossip che lo riguarda o da eventuali notiziole sullo Jannik bambino, sullo Jannik studente, su cosa mangia e cosa non mangia Jannik. Stiamone alla larga.

Ritorno allora alla prima riga di questo sermone: meno male che lui è meglio di noi. Sembra assai più maturo dei suoi 22 anni. Lo si è visto in campo, lo si vede fuori. Ha gestito queste giornate come un veterano, rispondendo a decine di domande nella conferenza stampa organizzata presso la nuova sede della FITP in modo impeccabile. C’è da giurarci, il primo a guardare con sospetto a un’eventuale Sinnermania sarebbe lui.

Per sua fortuna, un po’ come per Fantozzi al casino di Monte Carlo, queste giornate sono state una sofferenza atroce ma breve. Tra poco si vola a Rotterdam, tra poco si torna in campo. Il suo habitat naturale. Finalmente.

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