Alla fine i conti sono in qualche modo tornati. Un ventiduenne vicino alla maturità ha superato un quasi trentasettenne vicino al meritatissimo riposo e la sorpresa sta probabilmente nell’essere costretti a considerarlo un evento straordinario. Ma il Djokovic di questi ultimi due anni è stato talmente straordinario, nei risultati, che sembrava immortale, o quanto meno inscalfibile. E fra l’altro anche dopo questo torneo conserverà il primato della classifica mondiale, in qualsiasi modo finisca il torneo. Ci si è interrogati a lungo se questa longevità agonistica dipendesse dallo straordinario talento del serbo o da una certa insipienza dei rivali e chi ha avuto la bontà di seguirci è forse al corrente che qui si è più inclini a ritenere veritiera la seconda ipotesi ma poco conta, visto che stiamo parlando di uno che sta vivendo una semifinale slam come un fallimento. Era molto avvilito Djokovic, ma esagera dicendo che è stata una delle sue prestazioni peggiori. La differenza vera l’ha fatta, rispetto ad altre, il ragazzone che stava dall’altra parte della rete, Jannik Sinner, che ha fatto diventare normale una cosa che si ritiene straordinaria: approfittare della cattiva giornata dell’avversario. Naturalmente se sei Popyrin o Prizmic non riuscirai ad approfittarne lo stesso, ma la verità è che il Djokovic di oggi l’avrebbero battuti anche gli altri top10. Sinner, come al solito il più lucido nell’analisi del match, ha capito che aveva davanti un giocatore abitato da dubbi e ha saggiamente evitato di strafare. Gli è bastata una partita simile a quelle dei turni precedenti per vincere in modo davvero agevole quella che sembrava la madre di tutte le partite. Paradossalmente proprio qui sta l’ultimo dubbio su Sinner: se gli avversari incontrati uno dietro l’altro non siano stati troppo teneri e che messo di fronte a compiti più gravosi non possa trovarsi a disagio. Sinner ha servito più o meno come negli altri match, ha spinto più o meno come gli altri match, ha risposto più o meno come negli altri match. Per fortuna sua Djokovic non gli ha dato motivo di ricorrere a chissà quali alchimie e, come detto Sinner gliel’ha concesso, dicendo che ha capito ben presto che dall’altra parte c’era qualcosa che non andava. Proprio questa capacità di stare sul match sembra in questo momento il vero vantaggio di Sinner, rispetto ad esempio ad Alcaraz, che è sicuramente più divertente da vedere ma che da buon ventenne trova complicato mantenere a lungo la stessa attenzione. Vale per Alcaraz quello che si dice per Djokovic: se ti trovi davanti Kecmanovic o Sonego in qualche modo te la cavi, se trovi lo Zverev di questi Australia Open invece no.
Questa compostezza, come l’ha chiamata Djokovic, Sinner se la porterà in campo certamente anche contro Medvedev, che ha evitato al torneo un imbarazzante domenica, sconfiggendo Zverev dopo essere stato sotto due set a zero. Medvedev pare sempre infastidito dal dover giocare, ha mille pensieri per la testa e mille discorsi da completare con pubblico, angolo, arbitro e avversario ed è in grado di fare e disfare senza che neppure lui si renda conto del risultato finale. Vederlo giocare è una specie di affascinante enigma, perché alla fine pare che il risultato importi più a te che guardi che a lui che gioca. Eppure ogni tanto sembra impossibile da sfondare. Ci stava riuscendo Zverev, che dopo aver tenuto un primo set decisamente frou frou è stato praticamente perfetto fino al 5-4 del tiebreak del quarto set: percentuale di prime irreale (nel terzo e nel quarto sull’85%); dritto quasi sempre sulla linea, solidissimo negli scambi, in ottime condizioni fisiche. Eppure non è bastato, Medvedev, dopo aver ceduto alla frustrazione anche il secondo set, semplicemente non ha sbagliato più, per poi prodursi in un momento Medvedev appunto il quel tiebreak del quarto set. Se non l’avete visto procuratevelo, perché davvero quello che succede dal 4 pari è un concentrato di “medvidevite” se ci passate il neologismo. Daniil ha tirato un doppio fallo che ha mandato Zverev a servire sul 5-4, ma lì prima ha tenuto lunghissima una risposta alla solita prima del tedesco, che fino ad allora era stata sufficiente, poi si è inventato una risposta-smorzata non del tutto voluta e infine ha chiuso con un ace. Fatto quello il match è finito e Medvedev, che non aveva mai smesso, è tornato a litigare con chi doveva, preoccupato più di zittire il pubblico che di chiudere il match.
Si comprende come una partita tra due tipi del genere non sia semplice da pronosticare. Sinner potrebbe far dare di matto a Medvedev, come del resto ci sono riusciti egregiamente Djokovic a New York o Nadal proprio a Melbourne, ma potrebbe anche fare molta fatica a reggere il ritmo di Medvedev se la partita si allungasse, nonostante arrivi certamente più fresco alla sua prima finale. Gli daranno sicuramente una mano gli ultimi tre precedenti, tutti vinti ma tutti con un certa fatica e perché Medvedev ha dato una grossa mano uscendo dal match, le ultime due volte. Costretti ad indicare un favorito forse diremmo Sinner ma non è il caso di scommetterci troppo.
In chiusura sia consentito tornare al caso Zverev. C’è un macigno enorme che grava sull’ATP e sentire commentatori rubricarlo a questione di antipatia o meno è desolante. Commentatori che, a differenza di ESPN o dei giornalisti presenti alla conferenza stampa del post partita contro Norrie, continuano a sorvolare sulle accuse che pendono sul capo del tedesco. Zverev è accusato di aver usato violenza su una ragazza, minacciandola di morte, e la sua ex fidanzata non vuole che si avvicini al loro figlio. Di questo dovrà rispondere ad un tribunale tedesco nel prossimo maggio, dopo che ha rifiutato di pagare una multa di poco più di 600.000€. Come premio, Zverev è stato eletto nel board dell’ATP, votato quindi dai suoi stessi colleghi. Tutto questo è appunto desolante e sarebbe stato vagamente dissociante vederlo festeggiare domenica dopo la finale. O, forse, sarebbe stato meglio: a quel punto non si sarebbe più evitata la questione.
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