Titolo che, non si può negare, riporta alla memoria anche Elio e le Storie Tese, e, in fondo, nel porre questa domanda a questi due grandi campioni, una velata presenza di ironia c’è.
Infatti, se davvero si fosse davanti ad Andy e Stan, sarebbe inevitabile chiederglielo sorridendo, forse in modo anche un po’amaro.
Perché regalarsi questo tipo di crepuscolo, portando sui palchi tennistici l’ombra sbiadita di sé stessi?
Le motivazioni contro tale scelta sono fin troppo ovvie per essere esplicitate, partendo a cascata dalla domanda “cosa dovresti ancora dimostrare?”.
Quello che incuriosisce, al contrario, sono le ragioni che dovrebbero esserne a favore. Difficile intravederne, eppure lo scozzese e lo svizzero non sono certamente i primi a cadere in questo tunnel. La storia dello sport, ma anche della musica e di molte altre discipline, è costellata di personalità che non hanno saputo dire “basta” al momento opportuno, diventando macchietta della gloria raggiunta.
Pensando a Gianni Clerici, verrebbe da dire che l’unica soluzione sarebbe quella dello psicologo, specialista che il vecchio Scriba consigliava anche a Federer per superare l’ostacolo Nadal.
Che sia una sindrome da palcoscenico? Un’incapacità di abbandono delle scene? Paura dell’invecchiamento? O come dice il nostro Roberto Salerno, un semplice “sempre meglio che lavorare”?
Solo uno del mestiere potrebbe dirvelo, e dircelo.
Perché, d’accordo, raccontate di divertirvi ancora e di avere una passione infinita per questo sport, ma si stenta a credere che le figure rimediate oggi a Melbourne vi divertano o facciano piacere a voi e ai vostri tifosi, sia per lo spettacolo messo in mostra, sia per il rispetto, enorme, che si ha per quello che in passato avete mostrato sui campi da gioco.
In realtà, da appassionati, più che chiedervi ragione del vostro essere ancora in campo, pare più necessario un appello al farvi capire che il momento di smettere è giunto anche per voi, quantomeno nel contesto dei tornei più importanti.
Se poi, la passione fosse tale da accettare di giocare in tornei minori, dove sicuramente la vostra esperienza e talento potrebbero ancora fare la differenza, nessuna obiezione, anche se, senza essere psicologi, verrebbe da suggerire che c’è una vita là fuori al di là del tennis, e farebbe piacere vederla apprezzata da chi si è guadagnato, meritatamente, la possibilità di viverla in gran parte secondo gusto e non necessità.
Questo sarebbe molto più piacevole di sconfitte rimediate in primi turni che un tempo avreste vinto giocando alle metà delle vs possibilità.
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