Spystory, banalità e coffee break: tocca a Sinner e Djokovic l’ultima parola

Gli dicono tutti di godersela, di vivere nella normalità le ore della vigilia, se possibile anche la partita. E siamo alla semifinale. A un nuovo confronto con Djokovic. All’ultimo passo prima di una finale che vale i sogni di ogni bambino che decida di giocare a tennis. Essere normali a tu per tu con un’anomalia… Con tutta probabilità è la cosa meno normale che si possa chiedere a Jannik Sinner.

Mi domando se le banalità rimbalzino meglio sull’erba, ed è probabile sia così. Prendono a pallate anche l’altro interrogativo che incalza in queste ore, lo stesso che il 95 per cento dei tennisti delle ultime quattro generazioni non ha saputo risolvere. Nella sua formula più stringata è il seguente: come si batte Djokovic? Ma esistono anche versioni più dotte e professionali: come si batte Djokovic sul Centre Court dove non perde da dieci anni? Chiedere ad Andy Murray, è al momento l’unica possibile risposta. Fu lo scozzese a superarlo nella finale del 2013, Djokovic veniva da una vittoria su Del Potro strappata dopo 4 ore e 43 minuti, quasi una rissa, e Murray non gli dette il tempo di ricomporre i pezzi del proprio gioco.

Le risposte che ho sentito, invece, mi hanno fatto sussultare. Su tutte, questa… «Se vuole batterlo, Sinner deve giocare alla Djokovic». Siamo ai confini della realtà. Possibile essere una copia del Djoker e pensare di cavarsela contro l’originale? Chiedo lumi a Panatta. Mi risponde così: «Sinner deve mettere in campo il meglio di Sinner, misurarsi contro Djokovic con tutto ciò che ha a disposizione, utilizzando al meglio ciò che ha imparato, credendoci. Ha compiuto una scelta importante l’anno scorso, quella di cambiare per crescere. Disse che voleva essere un tennista migliore, con più armi e colpi a disposizione. Un anno è trascorso, quale migliore opportunità di verificare lo stato del suo tennis contro un numero uno ad honorem?» Ancora Panatta… «Ha migliorato il servizio, Jannik, non di poco, ma guai se scende sotto il 70 per cento di prime, l’altro non perdona. I colpi da fondo li ha, e oggi affronta la rete con maggior agio di una volta. Djokovic sa dei miglioramenti dell’italiano, l’ha visto in partita, si allenano assieme, ma non si affrontano dall’anno scorso, proprio dai quarti sull’erba, dunque Jannik può sorprenderlo. Deve stare attento, però, a non concedersi le pause che ho visto nei precedenti match».

Eppure, il paragone non è tutto da buttare. In tanti hanno avvicinato Sinner a Djokovic, e qualcosa di vero c’è. La risposta di rovescio al servizio sempre attenta e centrata. E i recuperi in allungo, da uomini di gomma, alla Tiramolla, quali sembrano entrambi.

Senza dimenticare che Sinner, da fondo campo è forse più rapido e più potente del trentaseienne Djoker. E anche più scapestrato nel rischiare improvvise avventure verso rete, cosa che Nole affronta con l’istinto conservatore che l’ha sempre animato.

Il ricordo di quell’ultimo confronto tra i due, nei quarti dei Championships di un anno fa, sarà parte in causa anche in questo nuovo duello. «Ho vinto solo grazie a quella sosta dopo il secondo set», disse Nole durante l’intervista sul campo, a fine match. Il fatidico “coffee break”, l’arma in più del Djoker. Glielo chiesero che cosa accadesse in quei pochi minuti di solitudine. «Volete davvero saperlo?», chiese. E poi: «Mi sono guardato allo specchio, e mi sono riempito di insulti. Poi sono tornato in campo consapevole che dovevo cambiare tutto, atteggiamento e sistema di gioco. Altrimenti avrei perso il match». Da tutto questo almeno un consiglio per Jannik se ne può trarre: occhio ai coffee break. Ma anche il resto può avere la sua importanza. Sinner aveva dato vita a due set di alto contenuto tecnico e tattico, ma nel terzo concesse a Djoko una palla break nel quarto game, una benedizione per il serbo che non aveva più avuto occasione di centrare il break da metà del primo set. Lì cambiò la partita.

«Ho grande rispetto per Jannik», la sottolineatura che Nole non manca di aggiungere, «ci siamo allenati spesso assieme, il match sarà un’altra cosa, ma ho visto quanto è migliorato. L’anno scorso non riuscii ad arginarlo nei primi due set, ma a dire il vero non li giocai nemmeno troppo bene. Quest’anno preferirei evitare di soffrire così tanto». Proprio gli allenamenti del Djoker, in queste ore, sono al centro di un caso che i tabloid inglesi stanno cavalcando, definendolo una spystory in piena regola. Il padre di Alcaraz sembra abbia filmato Djokovic in allenamento, e il figlio ha ammesso l’eventualità. «È un grande appassionato, filma tutto, sta ore sui campi. Utilizzerò quei video? Non credo proprio. Ci alleniamo assieme con Nole, quello che c’è da sapere già lo so». Misurato, Djokovic ha posto l’accento sul fatto che è sempre più difficile provare in allenamento, durante un torneo, qualche schema da aggiungere al proprio repertorio. «Non c’è privacy, c’è sempre qualcuno che ci osserva. Ogni tanto, invece, restare soli con il proprio team servirebbe».

Dietro Jannik vi sono Vagnozzi e Cahill. L’erba è il motivo per cui l’australiano è stato aggiunto da Sinner al proprio team. «Credo che Jannik sia in grado di recitare da protagonista, anche contro Djokovic», dice. «Non è facile, ovviamente, ma le qualità ci sono». Ultime percentuali: Bertolucci assegna a JS il 30 per cento. «Djokovic è a caccia del Grand Slam, ha già vinto due tornei, e su questa superficie è il naturale favorito». Più possibilista Barazzutti, che ha ripreso gli allenamenti con Fognini al CT Eur di Roma. «Sinner non può essere considerato il favorito, ma deve essere convinto di potercela fare. Questa semi è una grande occasione. Ha tutto per diventare il futuro n.1, deve cominciare a dimostrarlo».

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