La parola del Direttore

Sinner alla ricerca della felicità (perduta?)

Alla ricerca della perduta felicità, Jannik Sinner lascia per strada una sicura vittoria e un pezzetto di quella giovinezza in nome della quale tutto gli veniva perdonato. È un’uscita brusca, tormentosa, da un torneo che i primi risultati avevano già indirizzato dalla sua parte, tracciandogli un’autostrada per la finale.

Sinner lo sa, e parla di felicità per far capire che cosa ritiene gli sia mancato. Forse intendeva positività, ma felicità va benissimo, basta capirsi. Solo quella, però? A mio avviso, è mancato qualcosa, più di qualcosa forse, anche nel gioco. Il match ha entusiasmato il pubblico, ma non è stato granché, zeppo di errori e di omissioni. Sinner è stato tempestato di palle alte, e su quelle gli errori si sono moltiplicati.

Alla fine, a piangere è il vincitore. Si chiama Daniel Altmaier ed è la prima volta che ottiene dal tennis qualcosa da ricordare, da raccontare, di cui, magari, andare fiero. Ha 25 anni, tedesco di Kempen, un paesino della Vestfalia, regione famosa per il trattato di pace che pose fine alla guerra dei trent’anni, e ora che ha vinto per una volta contro uno dei più forti, è lui a non trovare pace. Si blocca davanti al microfono e non smette di piangere. Ne avrebbe di cose da raccontare, di speranze inseguite e mai raggiunte, di tennis giocato e vissuto in periferia. Ha vinto con la volontà e un po’ di fortuna, ma anche con intelligenza, scegliendo momenti e modi per colpire. Un tema che non troverebbe insensibile l’intervistatrice, quello dell’intelligenza… Marion Bartoli, signora di Wimbledon 2013, è membro del Mensa, la tavola che riunisce gli intelligentoni di tutto il mondo, e con un punteggio più alto di Albert Einstein.

Avrebbe di che piangere anche Jannik Sinner, ma non lo fa, non ci riesce, ha consumato sudore e lacrime in un match senza senso, costruito per durare troppo a lungo, per generare stress dal nulla e andare a parare non si sa dove. È furioso, con se stesso e con il tennis, sport ingrato se ce n’è uno. Aveva vinto, in fondo… I primi due match point dell’incontro erano a suo favore, bastava coglierne uno e andare in terzo turno, rispettando il pronostico e conservando intatte le possibilità di sfruttare a dovere il tabellone. Ma le crisi vanno sapute superare, e Sinner c’è rimasto avviluppato dentro. Sul 5-4 del quarto set ha giocato male la prima palla della vittoria, sulla seconda invece ha fatto le cose giuste, ma il tedesco ha trovato un passante che il nastro ha reso inarrivabile. Peccato, due volte peccato… Perché Sinner quel set l’aveva recuperato da 0-3, e in quel momento numeri e sensazioni erano tutti dalla sua parte.

Vi sono sfide che si prolungano all’infinito, quasi riciclando se stesse, proponendo scambi già visti e situazioni già vissute. Quel decimo game del quarto set, e più ancora, l’ultimo del match, nel quinto, quando le lancette dell’orologio avevano già da un po’ varcato le cinque ore di gioco, hanno riproposto fatti e misfatti dell’intero confronto. Se vuole, Sinner può prendersela con la sfortuna, e con se stesso, ma non è più soltanto il ragazzo prodigio, è ormai oggetto di studio, e la citizen band dei coach comincia a individuare quei punti ancora da correggere nel gioco dell’italiano, e a ricavarne le prime strategia di contrattacco, utili a inceppare i meccanismi d’assalto di Jannik. Daniel Altmaier non ha cessato per un solo game, di cercare palle dai rimbalzi alti e lunghi. Su quelle Sinner non carbura, e non sempre trova la misura dei colpi. Imbattibile nel tennis mezzo ping e mezzo pong, Jannik può essere disinnescato sulle lunghe distanze, negli scambi infiniti. Altmaier l’ha lavorato ai fianchi. Ha servito per il match sul 5-4 e non è bastato ad acquietare l’italiano, ma si è procurato un nuovo break ed è tornato a provarci sul 6-5 in suo favore. Avanti 40-0 ha sentito le gambe tremare sui primi tre match point ma non ha staccato la spina, e ha trovato altre due palle match, mentre le occasioni di pareggiare i conti di Jannik, tre di seguito, si perdevano nel nulla. Decisivo il quinto match point, in un game di sedici punti, lungo dodici minuti. Un ace. E il tappo che tratteneva le lacrime del tedesco è finalmente saltato.

Cinque ore e 26 minuti di dannazioni per ritrovarsi con niente tra le mani. «È una brutta botta, poco da dire. Dolorosa. Ho giocato male le mie carte, eppure ho avuto il match a portata di mano. Dovevo essere più felice dentro, per approfittarne, ma questa felicità che spesso mi assiste, oggi non l’ho avvertita».

Daniele Azzolini

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