Fu lui a condurre la danza, come un tanguèro argentino che intrecci passi proibiti di milonga offrendo alla sua bella un’unica certezza, quella che lasciandosi trascinare nei vortici del ballo avrebbe evitato di cadere troppo presto ai suoi piedi. C
ronaca di una vittoria che qualcuno definì di straordinaria casualità, dimenticando come fra due oppositori di livello assai vicino, le doti artistiche finiscono sempre per aggiungere slancio a chi potrà disporle sul campo. Era il 25 luglio di un anno fa, Rothembaun Club di Amburgo, Lorenzo Musetti opposto a Carlos Alcaraz, il giovane di El Palmar che di lì a poco diverrà numero uno. E fu un’impresa vera. Pochi però seppero coglierne l’aspetto più sorprendente. Lollo riuscì a resistere agli scossoni, violenti, tremendi, minacciosi che Alcaraz gli scatenò contro per tutto il match. Musetti vinse sopportando, difendendosi, conservandosi, e lasciò che a tratteggiare i tocchi e i drop che poi fecero la differenza, fossero le sue qualità di raffinato artigiano. Oppure pensavate che l’arte, in campo tennistico, potesse nascere fuori dalla fatica, dal dolore, dalla sopportazione?
I due si ritrovano oggi, campo Centrale, terzo match, e c’è grande curiosità. Il tempo trascorso da quei giorni di Amburgo ha dato sia all’uno sia all’altro, secondo misura e necessità. Svelto e vorace, Alcaraz ha colto titoli prestigiosi, quattro Masters, uno Slam, il numero uno, Musetti è salito ai piani alti tra molte buone prove, togliendosi la soddisfazione di battere Djokovic negli ottavi a Montecarlo. L’unico, con Rune, a infilare gli ultimi due numeri uno del Tour.
Partecipando all’attesa, Mats Wilander si è esposto con lecito, ma forse eccessivo fervore, a favore di Musetti. Sostiene gli ricordi Federer, e avrebbe potuto fermarsi già lì. C’è qualcuno di più grande che possa fare da nume tutelare al nostro ragazzo di Carrara? E invece Mats ha aggiunto pure Kuerten, Guga, Gustavo, che a Parigi visse, in comunanza con un pubblico divenutogli spontaneamente amico, tre stagioni liete, alternando vittorie e sorrisi indimenticabili. E il bello è che nella celebrazione di Mats, non è quello di Federer il nome che appare osé al punto da avvertirlo fuori luogo. È quello di Guga, che certo sorprendeva come anche Musetti sa fare, ma lo faceva inventando smorzate da ogni posizione e in tutti gli stili. Carpiate, con il triplo avvitamento, anche con il doppio salto mortale. Della pallina, ovviamente, non il suo. Ma chissà che Guga non fosse capace anche di quello, buffo com’era: un tipo che si muoveva come un fumetto e quando si lanciava sulla palla sembrava che una parte del corpo gli si allungasse come una molla, e tutto il resto lo seguisse qualche secondo dopo.
Anche Musetti sostiene di ispirarsi a Federer, e il fatto che tutti l’abbiano preso sul serio testimonia dell’alta considerazione di cui gode il ragazzo. Non dovrà diventare un tormento l’idea di introdurre nel proprio tennis il più alto numero di variazioni possibile, perché molte di queste Lorenzo le ha già nel proprio bagaglio tecnico. Problematico invece sarà rendere naturale il fluire delle stesse, nel corso dei match, produrre variabili in automatico, senza pensarci, proprio come faceva Roger. Si tratterà di un lungo studio, e di un’ancora più lunga applicazione, ma Lollo è l’unico che ce la possa fare.
Contro di lui, Alcaraz ha una sola possibilità, che però rientra nei confini naturali del suo tennis. Dovrà spingere a tavoletta sin dai primi scambi, dovrà triturare il gioco di Musetti e più ancora la positività con cui l’italiano sembra lietamente convivere in questo Roland Garros che finora l’ha visto incapace di sprecare un solo set, e addirittura regolare una testa di serie come Norrie quasi fosse un ragazzino. Se Carlos avrà il passo cui nessuno resiste, Musetti non avrà grandi chances, ma se Lorenzo saprà aprirsi varchi invitanti, e su quelli lavorare con colpi e variazioni che non daranno modo ad Alcaraz di dare continuità al proprio incedere, il match potrebbe cambiare di segno, e una nuova impresa assumere connotati realistici. «Carlos è un’ispirazione, per me, per Rune, per lo stesso Sinner. È il giocatore che ha segnato l’inizio di una nuova Era, e tutti gli dobbiamo qualcosa. L’ho affrontato e battuto a Monaco, ci siamo conosciuti, è un amico, ma ora lui sa di me e io so di lui. Servirà la massima concentrazione. Con lui, anzi, ne servirà anche di più», la chiosa di Lorenzo.
Più stretto nei confini collaudati dei rispettivi bagagli tecnici, l’ottavo di finale tra Sonego e Khachanov è altrettanto aperto, forse di più, dato che i due hanno molti buoni motivi per farsi preferire. Sonego ha il supporto delle imprese centrate, bellissima per composizione e fattura quella con Rublev. Khachanov – lo chiamano Djan, e forse è meglio di Karen, il suo nome – viene da due semifinali Slam consecutive. Sono entrambi solidi combattenti, più ricco di spunti il nostro, più regolare e scevro da errori il russo, che è avanti 2-1. Ma sulla terra rossa il conto è in parità.
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