Grazie, Roger

La grande bellezza del tennis non ha ancora un futuro assicurato, e da ieri nemmeno un presente certificato. Vi sono indizi confortanti, proposte meritevoli della massima attenzione.

Vi sono giovani che accendono nuove scintille. Alcaraz con il suo tennis ping pong. Sinner con la facilità estrema nel colpire la palla. Certi dritti di Matteo Berrettini. La sua forza di volontà e quei suoi servizi che cadono dall’alto. Loro e altri, tutti coinvolti in una rigenerazione che fa bene al nostro sport e solleva speranze. Ma ieri Roger Federer ha detto che per lui è tempo di farsi da parte, quel tempo tante volte rimandato, che a lungo ci ha concesso una dolce illusione. Ora l’illusione è svanita. Il non ritorno è diventato l’unica certezza. Insieme all’obbligo di scrivere che da oggi la bellezza del tennis si coniuga al passato, stimolando riflessioni che attraversano venti anni e più della nostra vita. Forse non per molto. Speriamo, non per molto… Ma oggi è così.

         Ed è bella anche la lettera con cui Federer ringrazia e lascia che siano altri a proseguire sullo stesso tracciato. È un’eredità difficile da sostenere. È stato lui il primo a spingere il tennis nella fantascienza dei numeri irraggiungibili. Lui a costringere tutti a fare un qualcosa in più. A crescere come atleti. A sentirsi tennisti fino a rendere inutile la carta d’identità. Nasce con Federer il concetto di sport senza età, che già in tanti hanno sposato. Occorre essere molto anziani per sentirsi davvero tennisti. È la trasformazione di una famosa frase di Picasso, sulla gioventù senza date né confini. L’attribuiamo a Federer. Se non l’ha detta, certo si è prodigato perché fosse possibile.

“Alla mia famiglia del tennis e non solo…”. Comincia così la lettera che Roger ha pubblicato su Instagram. “Di tutti i regali che il tennis mi ha dato, il più grande è rappresentato dalle persone che ho incontrato lungo la strada. I miei amici, i miei avversari, e ancora di più i tifosi che danno allo sport la propria vita. Oggi, voglio condividere una notizia con tutti voi.

Come molti sanno, gli ultimi tre anni mi hanno presentato sfide sottoforma di infortuni e operazioni. Ho lavorato duramente per tornare in piena forma. Ma conosco i limiti del mio corpo e ultimamente i messaggi che mi ha mandato sono diventati chiari. Ho 41 anni, ho giocato oltre 1500 match lungo 24 anni. Il tennis mi ha trattato con più generosità di quanto avessi mai sognato, e ora devo saper riconoscere che è giunto il momento di mettere fine alla mia carriera professionistica. La Laver Cup della prossima settimana a Londra sarà il mio ultimo evento ATP”.

L’era Federer comincia nel 2001 con l’assalto a Sampras e assume forma definitiva dal 2003 con la prima vittoria nello Slam, contro Mark Philippoussis, un australiano di mamma trevigiana. Wimbledon cercava l’erede dell’americano vincitore di sette titoli, e fu subito chiaro che la ricerca fosse terminata. Il nuovo Pete svizzero era finalmente comparso su quella stessa erba. Più forte, però. Capace di fare tutto ciò che sapeva fare lo statunitense ma aggiungendo qui e là gemme di tecnica purissima. Un dritto a tratti più violento, un dominio del campo assoluto, un gioco sempre di prima intenzione, con i piedi attestati sulla linea bianca della battuta, dove giocano solo coloro che si fidano ciecamente del loro anticipo e non hanno intenzione di lasciare un solo centimetro di campo agli avversari.

Cercava solo un successore, il torneo, e finì per condurre il tennis in una nuova dimensione. Su quei campi, due anni prima, Federer si era rivelato attaccando proprio Sampras. Lo fece con le sue stesse armi, il servizio preciso e fulminante, il serve and volley, la facilità delle volée, dei tocchi, il diritto che lasciava di sasso e diventava un’arma devastante nei cross che tagliavano il campo in diagonale. Match spettacolare quello degli ottavi 2001, subito designato per la Top Ten delle partite più belle della prima decade del nuovo secolo. Roger se ne appropriò in cinque set (7-6 5-7 6-4 6-7 7-5) e di fatto fu lui – che si dichiarava ammiratore dello statunitense – a prendersi la briga di informare Sampras che la sua carriera era ormai giunta al termine. Poi però Federer tornò a eclissarsi, tra alcune buone vittorie e tanti inaspettati capitomboli. «Non ero pronto», spiegò al termine della finale del 2003, quasi scusandosi, «in troppi mi dicevano che sarei diventato il nuovo numero uno e io non avevo ancora le spalle grandi, dovevo completare il mio percorso…». In realtà ne aprì uno nuovo, tutto suo. Irripetibile.

Ivan Ljubicic, l’ultimo coach, è tornato sui motivi che rendono Federer il Più Grande in un’intervista di ieri, a Sky. «È stato unico. L’uomo dei grandi numeri. Il più amato. Al punto da vincere per diciannove anni di seguito il premio come giocatore più apprezzato dagli appassionati del nostro sport. Ha continuato ad alzare l’asticella, e ha obbligato tutti a inseguirlo. Poi qualcuno l’ha anche superato, ci sta, ma lui è stato il primo, sempre. Il primo a mostrare a tutti che si può vincere tutto. Il primo a dominare il tennis per 52 settimane l’anno. La sua stagione più bella? Il 2017, equamente divisa con Rafa Nadal in quanto a vittorie nello Slam».

Ha ragione Ivan. Fu come un regalo la presenza a turno di Roger e Rafa nelle finali dell’intera stagione, una meraviglia che sorprendeva e faceva stare bene. Commuoveva vederli di nuovo in grado di regalare colpi di assoluta purezza, e battagliare fra loro come facevano anni prima, con in più l’esperienza che li tratteneva dalle esagerazioni giovanili e dai tormenti che avevano ormai imparato a sedare. A Federer andò il successo in Australia, lo Slam numero 18, a Rafa Parigi, il quindicesimo titolo. Poi Roger si prese Wimbledon e Rafa lo US Open. E l’anno dopo, ancora in Australia, Federer firmò il ventesimo successo nei major.

Ora Rafa è a 22. Djokovic a 21. “Grazie anche ai miei avversari”, scrive Roger. “Sono stato fortunato a giocare dei match epici che non dimenticherò mai. Abbiamo combattuto con correttezza, con passione e con intensità. Ci siamo sempre spinti l’uno con l’altro, e insieme abbiamo portato il tennis a nuovi livelli”.

Siamo stati fortunati anche noi, che lo abbiamo seguito da vicino per tutti questi anni. È stato bello. Grazie a te, Roger.

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