Il (fin troppo prevedibile) ritorno di Djokovic

Qualcuno aveva forse dei dubbi? Novak Djokovic ha dimostrato ancora una volta, casomai fosse necessario, che su erba (e non solo) è il più forte di tutti da qualche anno a questa parte: sette trionfi, come Renshaw e Sampras, e a uno soltanto dall’erbivoro per eccellenza Roger Federer. Eppure stavolta i dubbi di cui sopra non erano campati in aria per come si erano svolte le cose per il serbo in quest’anno iniziato in modo tormentatissimo a causa delle note vicende australiane: in fondo un evento come quello di gennaio tra blocchi aeroportuali, fermi in attesa di una decisione del giudice e una “shitstorm” social (a tratti davvero ignobile) di proporzioni gigantesche, avrebbe fatto vacillare se non cadere in un abisso di paure e tentennamenti chiunque. Ecco, questo è il punto; chiunque ma non Djokovic, che ha zittito di nuovo i detrattori nonostante le critiche, gli ostacoli e soprattutto l’impedimento di poter disputare la maggior parte dei tornei più importanti, nei quali sarebbe stato il favorito.

Già a Roma comunque il nativo di Belgrado aveva fatto capire di aver superato brillantemente il periodo buio ed era lecito aspettarsi la vittoria in uno slam che vinceva da tre anni consecutivi. E ancor meno ci si sorprende del come ha conquistato il 21esimo major: giocando benino, a tratti bene ma non benissimo, perdendo spesso il primo set ma poi venendo inesorabilmente a capo della situazione, che si tratti di Norrie, Sinner o Kyrgios. A differenza dell’altro eterno, Nadal, che fa capire agli avversari di non darlo per battuto mostrando tutto il suo dolore, il sudore, i muscoli come manifesti di spirito indomito, il serbo lo fa quasi con nonchalance, attraverso un atteggiamento quasi dimesso quando sbaglia portando in vantaggio chi si trova dall’altra parte della rete oppure non riuscendo a contrastare gli attacchi questi ultimi: sbagli che però diminuiscono e attacchi che vengono disinnescati nel procedere del match in sequenze uguali a immutabili leggi fisiche, solide come antiche credenze religiose, ripetitive come le pellicole d’azione hollywoodiane che noi spettatori seguiamo per non perderci lo spettacolo (a volte, se non spesso, noioso). L’anno passato c’è stata l’eccezione della sconfitta netta subìta per mano di Medvedev a New York ma si fa fatica a pensare che non sia l’eccezione che conferma la regola, data anche la pressione più grande del solito sulle spalle in vista del traguardo storico del grande slam.

Djokovic ha detto nell’intervista post match in sala stampa che lui si sente in formissima e a dispetto dell’età, oltre che della possibilità di non giocare molti tornei perché non vaccinato, ancora super competitivo per qualche anno; e anche questo noi mica lo mettiamo in dubbio. Mentre cominciamo a dubitare seriamente sulla possibilità che negli eventi più prestigiosi ci sia qualche colpo di scena prima del ritiro definitivo che ovviamente ci auguriamo arrivi il più tardi possibile; così come però non siamo da biasimare se ci auguriamo anche una più forte volontà e capacità da parte dei più giovani avversari nel provare a battere un fuoriclasse come Novak Djokovic. O almeno a farci credere davvero di poterlo battere; per come stanno andando le cose negli ultimi tempi ci accontenteremmo perfino di quello.

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