È finita, male ma è finita. Il caso Djokovic tra colpi di scena, espulsioni annullate, ricorsi e interrogatori ha tenuto tristemente banco nelle ultime settimane trasformando la partecipazione del serbo alla kermesse tennistica in uno scottante affare di Stato.
Questa edizione degli Australian Open inizia così dopo aver consumato un’attesa convulsa e ricca di pathos, dopo aver subito l’intromissione indesiderata della politica che ha rubato di fatto la scena allo sport, mentre i tre protagonisti coinvolti, il campione serbo, il governo australiano e Tennis Australia, hanno equamente deluso e amareggiato gli appassionati. Al netto dello sconcertante comportamento tenuto da Novak Djokovic durante la positività al Covid, rimane palpabile la sensazione che quanto andato in scena a Melbourne sia stata una vera e propria manovra politica che poco ha a che fare col gioco del tennis. Senza andare a scomodare intrighi internazionali sullo sfondo di preziose miniere di litio serbe o reclamare la violazione di intoccabili diritti umani, potrebbe davvero essersi verificato quello che in politica si definisce con l’espressione “the tail wagging the dog” e descrive il sapiente tentativo di distogliere l’attenzione generale da un problema sfruttando un banale espediente.
L’episodio del visto di Djokovic ha infatti catturato in modo potente l’attenzione pubblica coinvolgendo nell’infuocato dibattito anche chi non sapeva neppure cosa fossero gli Australian Open, con l’inevitabile conseguenza di dirottare l’emotività globale esclusivamente sul campione privo del certificato vaccinale. Dopo undici giorni di battaglie legali e scontri mediatici che avrebbero dovuto risolversi in tempi più rapidi e con una gestione meno roboante, per fortuna con il verdetto finale della Corte Federale il tennis si sta lentamente riappropriando dello spazio che merita. Dalla nuova situazione creatasi stanno poi emergendo effetti decisamente lieti almeno per il tennis italiano.
Il discusso allontanamento di Nole si è trasformato in un’opportunità incredibile per il lucky loser ripescato al posto del serbo. Si tratta del ventinovenne Salvatore Caruso che da testa di serie 150 passa a sostituire il numero 1 ATP, dal momento che il forfait di Djokovic è arrivato dopo l’avvenuto sorteggio del tabellone. Il tennista palermitano aveva perso all’ultimo turno delle qualificazioni contro il giapponese Taro Daniel mentre gli altri due tennisti ripescati prima di lui erano già stati sistemati nel tabellone a seguito di altre rinunce. Andare però a sostituire il detentore del titolo e numero 1 del ranking ATP rende Salvatore un ripescato speciale: esattamente come il protagonista di una favola la storia di Caruso potrebbe ispirare la versione tennistica di Cenerentola.
Un’occasione magica per il tennista di Avola dopo un anno difficile e avaro di risultati che nel giro di poche ore è diventato il lucky loser più famoso al mondo. Nonostante il cemento sia la sua superficie preferita, nelle precedenti cinque edizioni degli Australian Open a cui ha partecipato è andato oltre il primo turno solo una volta. Ma adesso c’è una nuova opportunità per Salvatore, imprevedibile e rocambolesca che però conferma ancora una volta come la vita possa farci cambiare di binario all’improvviso.
L’uscita di scena di Djokovic ha poi una ulteriore e singolare conseguenza sempre per il tennis azzurro: se per Jannik Sinner il nuovo tabellone con l’inserimento di Caruso non avrà significative conseguenze per Matteo Barrettini invece si prospetta un nuovo percorso che lascia ben sperare. Dopo il triste epilogo patito alle ATP Finals di Torino, Matteo adesso si dice carico e pronto a sfidare i favoriti Medved e Zverev per la conquista del titolo australiano, in veste di outsider. Perché no, in questi Australian Open 2022 tutto sembra possibile, proprio come in una favola: una inaspettata Cenerentola potrà allacciarsi le scarpe da tennis per danzare alla Rod Laver Arena mentre il lupo braccato è stato ricacciato nel bosco. Ma quella del lupo in verità è tutta un’altra storia, stavolta non è una favola e il lieto fine sembra ormai impossibile da realizzare.
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