Continua la saga di Novak Djokovic in Australia, con l’incredibile vicenda riguardante il numero 1 del mondo ATP che è a Melbourne a ormai quattro giorni soltanto dall’inizio dell’Australian Open ma di fatto ancora a rischio espulsione.
Più passano i giorni e più escono documenti che minano la credibilità del tennista serbo, o quantomeno lo mettono in una posizione non molto chiara di fronte alle autorità locali, complici anche loro di un caos che non sta facendo affatto bene al paese e allo sport.
Ieri si è scoperto che nella Australian Travel Declaration Djokovic, in un colloquio molto confuso con gli ufficiali in aeroporto, aveva dichiarato di non aver completato lui il modulo ma di aver fatto fare al manager, a Tennis Australia, o al governo. Non fu lui, se non altro, e su questa base disse che non aveva effettuato altri viaggi nei 14 giorni precedenti al suo arrivo a Melbourne quando si è scoperto poi che verso fine anno è stato a Marbella, in Spagna, come documentato da video e foto di lui sui campi da tennis.
Ora, con un’indagine pubblicata sul sito tedesco Der Spiegel e coadiuvata dagli investigatori informatici Zerforschung si scopre che i dubbi espressi già lunedì sul suo test molecolare anti covid del 16 dicembre (che anche noi scrivevamo fosse sospetto come ci venisse mostrato prima un risultato negativo, poi positivo) aumentano ancor di più se si analizzano alcuni passaggi. Qui vi proponiamo l’inizio del tweet che da il via all’indagine pubblicata sul sito di Der Spiegel
Ci sono diverse incongruenze, segnalano: dal timestamp, l’orario segnato nel test, e il QR code fino al numero progressivo di test tra positivo e negativo.
Il test del 16 dicembre ha un numero progressivo di 7371999. Nei documenti rilasciati viene indicato che il risultato si è avuto attorno alle 20 e di norma l’inserimento nel database, scrivono, è pressoché immediato così da generare un numero che segue, appunto, una numerazione progressiva. Il timestamp del tampone positivo però fornisce ben altro risultato: il 26 dicembre, alle 14:21. Dieci giorni dopo che Djokovic e i suoi avvocati hanno segnalato il giorno dell’infezione. E come si segnalava lunedì, scansionando il QR code del test effettuato secondo i documenti al 16 di dicembre il risultato sembra non essere accurato: Der Spiegel alle 13:19 ha letto un risultato negativo, alle 14:33 ha letto un risultato positivo.
Il fattore numero però è quello dove si concentra la maggior parte del problema, per Zerforschung. Il tampone positivo del 16 dicembre ha come numero, di nuovo, 7371999 mentre il tampone negativo del 22 dicembre ha come numero 7320919, più piccolo di 51080 unità quando invece per norma avrebbe dovuto essere maggiore. Prendendo per buono il test del 16 dicembre, sembrerebbe dunque che sia stato inserito nel database ufficiale serbo soltanto 10 giorni dopo, addirittura quattro dopo aver avuto esito negativo. Così Zerforschung ha analizzato i due periodi temporali per vedere se i numeri combaciavano.
Nel primo tweet riprendono i numeri ufficiali forniti dalla Serbia trovando un aumento di 750000 test tra il valore rilevato al 16 dicembre e quello al 22 di dicembre. Nel secondo tweet invece si scopre che nel periodo dal 22 dicembre al 26, il computo totale di test effettuati è 51081, un’unità soltanto maggiore di quel 51080 che è la differenza tra il tampone negativo effettuato il 22 e il timestamp rilevato dagli investigatori nel tampone che a questo punto sembra possa davvero riferirsi al 26 dicembre.
La faccenda è sempre meno chiara, e il ministro dell’immigrazione australiano aveva detto dopo la sentenza del giudice che avrebbe provveduto a rivalutare tutto. Novak di fatto è stato salvato non dalla bontà del visto ma da un errore procedurale della polizia di frontiera che non gli ha lasciato abbastanza tempo per replicare alla decisione di cancellazione del visto. Volendo, il governo australiano può appellarsi dunque alla eventuale non validità di un documento molto controverso sulla base di tante contraddizioni che stanno emergendo da chi è sempre stato contro il vaccino e la sua esenzione si basa su un “colpo di fortuna” di un’infezione.
Per Robert Potter, co-CEO dell’agenzia di sicurezza informatica Internet 2.0, il governo australiano è conscio di dettagli che non combaciano: “Non posso parlare da un punto di vista medico, ma posso dire che c’è sufficiente evidenza per questionare la validità dei documenti inviati al governo australiano a proposito della sua positività. Il timestamp che contiene il QR code del suo test positivo non combacia con quello inserito nei documenti. Invece, il timestamp del test risultato negativo combacia perfettamente. In questo caso, Djokovic ha alcune domande da dover chiarire”.
Per Zerforschung una spiegazione potrebbe essere che il timestamp nel QR code sia stato rigenerato quando il file pdf è stato scaricato. Questo potrebbe indicare che qualcuno, Djokovic o un incaricato, abbia scaricato il risultato del test postitivo il 26 dicembre. Questo, specifica però Zerforschung, spiega il timestamp diverso mentre non fa chiarezza sul codice numero che rimane più alto per il test positivo.
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