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Caso Peng: ITF sotto accusa, il New York Times svela le mosse della Cina. L’attivista Teng: “Shuai è in pericolo”

Siamo a una settimana, ormai, dall’annuncio della WTA di voler sospendere tutti gli eventi del circuito maggiore femminile in Cina e Hong Kong.

Una mossa dovuta dopo aver preso una posizione così dura contro il governo cinese verso cui il CEO Steve Simon non ha mai nascosto di considerare come principale responsabile della sparizione, dal 2 novembre scorso, di Shuai Peng.

Dalla WTA ci sono bocche cucite, e così è stato fin dall’inizio di questa triste vicenda. Parla solo il capo, una voce unica e di fatto condivisa da ogni dipendente. Il momento è oltre ogni soglia di guardia: si stanno giocando centinaia di milioni di dollari per spingere quanto più possibile verso un meta irraggiungibile, la difesa della dignità e della persona della giocatrice cinese, le cui apparizioni da oltre un mese sono state ridotte al lumicino e tutte accompagnate dalla spinta dei media locali, tutti fortemente legati al governo del partito comunista di Xi Jinping. Simon da che inizialmente commentava in maniera ancora diplomatica con “vedo abbastanza difficile pensare che” sulla mail ricevuta e apparentemente scritta da Peng, pubblicata poi dalla tv di stato cinese, al “è tutto completamente orchestrato” delle ultime uscite quando sulla CNN chiedevano commenti sugli sviluppi e sulle video-chiamate che il Comitato Olimpico Internazionale annunciava di aver avuto con la giocatrice.

Di recente si è scoperto il primo importante passo preso dalla Cina verso la sospensione dei tornei, fortemente criticata dal governo e dalla federazione tennis locale, bollata come ‘politica’: l’azienda iQiyi che trasmetteva in streaming in Cina tutte le partite di singolare e doppio dal 2017 per un accordo di 10 anni ha sospeso a sua volta un contratto che doveva versare nelle casse della WTA oltre 120 milioni di dollari. Simon sapeva che sarebbe andato incontro a una cascata di problemi di questo tipo, eppure ha deciso di difendere la propria giocatrice e dichiarando alla BBC che non voleva necessariamente aspettarsi una presa di posizione simile da parte degli altri capi del tennis. Forse, in cuor suo, sapeva che per una mossa così spregiudicata era difficile attendere subito un aggancio: l’ATP ha preferito tenere buoni gli accordi con i proprietari di Shanghai, mentre l’ITF ha di fatto colto la palla al balzo per gettarsi ancor più nel fuoco. Già pesantemente sotto accusa dal 2019 per essersi venduta al dio denaro accettando la montagna di soldi che un gruppo arrivato dal nulla come Kosmos ha messo sul piatto per rivoluzionare Coppa Davis, e di conseguenza Fed Cup, distruggendo quasi interamente il valore del trofeo, è stata delle tre l’associazione che ha maggiormente evitato di toccare i punti caldi della questione accennando a un supporto generico e una sommaria condanna di quanto accaduto in un contesto di grande retorica. Il motivo della presa-non presa di posizione? David Haggerty, presidente ITF, è da inizio 2020 membro del Comitato Olimpico Internazionale.

Jon Wertheim, molto spesso in prima linea quando si tratta di comunicare informazioni dai corridoi del circuito ATP, ha ripetuto più volte in questo periodo come siano diversi i volti insoddisfatti di giocatori che non hanno apprezzato l’approccio preso. La non-mossa dell’ITF però ha sforato la bolla tennistica diventando di dominio internazionale. Alla BBC, Haggerty ha dichiarato: “Dovete tenere a mente che l’ITF è un capo del tennis a livello globale, e tra le cose di cui siamo responsabili è lo sviluppo di base. Non vogliamo sospendere i nostri tornei in Cina per non danneggiare un miliardo di persone”. Di fatto, Haggerty fa un confronto abbastanza chiaro tra una giocatrice scomparsa in circostanze molto pericolose e la sua voglia di non guastare gli interessi presenti. Sì, ci sono accuse importanti in ballo e avrebbe una posizione importante per spingere in questo senso, ma ci sono soldi e rapporti che andrebbero distrutti, soprattutto con chi tra meno di due mesi inaugurerà le Olimpiadi. Era tutto quello di cui Simon parlava nei primi giorni quando diceva che bisognava smetterla di giudicare giusto e sbagliato in base agli affari.

IL NYT PUBBLICA L’INCHIESTA: COSI LAVORA IL GOVERNO CINESE

È di oggi una importante inchiesta del New York Times che col suo bacino di utenti cerca di smascherare una volta di più il lavoro incessante che dal 2 di novembre il governo cinese sta mettendo in atto per spegnere le voci sul caso di Peng Shuai. Non è completamente nuovo tutto ciò a quanto stanno urlando da ogni angolo i vari attivisti dei diritti umani cinesi e coloro che hanno vissuto in prima persona questi momenti, ma sono interessanti molti dei dati proposti dal famoso portale di informazione statunitense. Il tema di base è: ci sono voluti 20 minuti per far sparire ogni genere di informazione su Peng Shuai, la sua storia e le sue informazioni sul web, e da lì è nato un lavoro molto minuzioso nel difendere il proprio operato fino a scaricare la colpa sugli accusatori (gli occidentali).

Sono almeno un centinaio, dice l’inchiesta, gli account Twitter denunciati per diffusione di false informazioni e per aver “aderito” alla narrativa del capo editore di Global Times, quotidiano di fatto sotto il controllo del governo di Pechino. I cosiddetti ‘bot’, non nuovi in questi scenari e già scoperti a metà del 2020 sempre dal New York Times quando la propaganda cinese puntava a intralciare la politica statunitense guidata allora da Donald Trump. Utenti falsi, con pochi followers e generalmente “nati” negli ultimi mesi, con scarse interazioni e nessuna diversa da un supporto al partito comunista e le sue politiche, che si disattivano poco più in là. Questi sono stati all’interno di un’indagine in cui Twitter ha eliminato in tutto 1700 profili che sposavano e promuovevano i paradigmi della propaganda cinese su tutti i livelli. Oltre allo spinoso caso Peng, di fatti, ci sono altre tematiche molto sensibili come le torture verso gli Uyghurs e i contrasti sempre vivi con gli Stati Uniti, attaccati anche di recente con un articolo comparso sul portale web CGTN in cui si denuncia la democrazia statunitense perché ritiene le donne indiane più libere di quelle cinesi. Hu Xijin, capo editore del Global Times, ha ovviamente negato di essere a conoscenza di qualsiasi strana mossa politica. Il New York Times, assieme a ProPublica, ha stimato che questi account pubblicavano complessivamente picchi fino a 3500 post all’ora pro-governo, tutti nell’arco di tempo lavorativo cinese nel periodo lunedì-venerdì.

Il New York Times grazie all’aiuto di Xiao Qiang, un ricercatore dell’università di Berkley in California, che malgrado il post delle accuse mosso da Peng sia stato fatto sparire in breve si è diffuso talmente tanto che per contrastare la mobilitazione online il governo cinese ha dovuto bannare da internet un centinaio di parole chiave con un trattamento che, spiega, ha messo questo quasi al livello del massacro di Tiananmen Square. Tutto ciò anche grazie al fatto che la WTA ha spinto tanto all’inizio affinché il caso divenisse di interesse mondiale come poche altre volte. Normalmente nei vari scandali accaduti all’interno della Cina non c’era mai stata una reazione così. Si veniva forse a conoscenza dell’episodio, si faceva passare il tempo, si spegneva il caso. Nessuno si è messo contro la Cina in questi anni, la NBA e LeBron James sono arrivati a puntare il dito contro un altro cestista reo di aver detto cose inesatte contro Xi perché poco educato. La Cina può agire forte nei propri confini, ma al di fuori (sempre secondo il New York Times) ha bisogno di altre tattiche: così sono arrivati i tentativi di spegnere il caso tramite la mail, le foto, i video sempre di “mano” governativa. Simon non ha mai creduto che quello rappresentasse una prova che Peng stesse bene e ha continuato a chiedere giustizia. La mail, soprattutto, ha gonfiato la rabbia globale. Quando la Cina, il suo governo, si è trovata a dare risposte sul massacro della comunità Uyghurs ha da subito messo in atto prove visive che mostravano queste persone smentire tutto, mostrandosi sorridenti. Qui il filo è identico, ma come dice Pin Ho, uomo di affari di New York: “Loro hanno messo la testa nella sabbia e creato scene pre-impostate. Se qualcuno dice di essere libero quando è in mano ai suoi rapinatori, è qualcosa di orribile”. L’aiuto del CIO, ancora una volta, è il punto che ha ulteriormente peggiorato lo scenario. Volontariamente o meno, Thomas Bach ha fatto il gioco del governo comunista e i suoi rappresentanti non stanno riuscendo ora a costruire una difesa che sia accettabile per lo scarso interesse mostrato.

Quando nulla di tutto ciò è sembrato funzionare e la WTA ha sospeso i suoi rapporti, ecco che sono passati al nuovo step: il contrattacco. Non è la Cina a tenere Peng sotto coercizione, ma è la WTA che vuole costringere Peng a dire di essere sotto coercizione (diceva il comunicato del Global Times su Twitter). Ribaltare tutto: il mondo contro la Cina. Li Jingjing, anche lei parte della tv di stato, twittava: “Fate attenzione. Quando i media occidentali e governativi dicono che si interessano a voi, vogliono che siate al sicuro, specialmente se siete dalla Cina, Russia o Etiopia, loro in realtà vogliono l’opposto. Loro DESIDERANO voi siate in pericolo così possono fare ancor più propaganda anti-governo cinese. Il fatto che siate al sicuro li fa arrabbiare”.

L’ATTIVISTA E DISSIDENTE TENG BIAO: “PENG È IN PERICOLO”

Intervistato dalla CNN, l’attivista per i diritti umani e dissidente politico cinese Teng Biao rappresenta probabilmente l’ennesima voce che denuncia le condizioni in cui molto probabilmente si trova ora Peng Shuai. Chiunque come lui sia diventato dissidente per aver attaccato, o semplicemente detto, qualcosa che ha fatto arrabbiare il governo di Pechino sa che la vita da quel momento cambia per sempre. Teng è riuscito a scappare dalla Cina, vive negli Stati Uniti e con gli ultimi avvenimenti chiede un boicottaggio totale alle Olimpiadi di Pechino 2022.

Fin qui sono arrivati in via ufficiale i boicottaggi di Stati Uniti, Australia e per ultimo il Regno Unito, che non manderanno delegazioni diplomatiche alla cerimonia di inaugurazione evitando così varie foto e incontri con i vari politici locali. Il governo cinese è infuriato, malgrado poi commenti “non frega nulla a nessuno” all’annuncio del governo australiano. Come avvenuto per Pechino 2008, la Cina sfrutta queste occasioni per promuovere la bontà del proprio paese: vuole siano tutti presenti, non è ammissibile avere crepe. Nel 2008 una bambina di otto anni fu scartata dalla scelta di chi dovesse cantare l’inno nazionale perché aveva i denti storti. Al suo posto ne scelsero un’altra. Non è ammissibile avere intralci alla magnificenza che vogliono mostrare. Per questo avere già tre paesi che rifiutano di presentarsi già solo a livello diplomatico fa male, e mostra come ci sia sostanziale pressione attorno a loro. Il caso Peng, da questo punto di vista, è stato un po’ una svolta. Non una vera ragione, ma la punta di un iceberg che denuncia grave mancanza del rispetto dei diritti umani.

Teng, arrestato due volte dai funzionari cinesi tra 2008 e 2011 per essersi esposto contro il governo, ha detto: “Pechino sta sentendo pressione attorno a sé, sì, da parte dei governi mondiali, delle organizzazioni umanitarie. Il problema di Peng Shuai è divenuto un argomento di grande importanza a Pechino. Le autorità (governative) all’inizio hanno mandato quella email falsa, il presidente del CIO Bach ha parlato con lei via video, ma non hanno mai silenziato l’attenzione internazionale. C’è tanta pressione e a Pechino importa solo le manipolazioni per uscirne con controllo. Se ci fosse un vero boicottaggio delle Olimpiadi, questo sarebbe un colpo durissimo per il partito comunista e non vogliono assolutamente che accada”. Ha poi aggiunto: “Assolutamente, Peng Shuai non è al sicuro. Non è affatto al sicuro, non sta bene, ed è completamente sotto controllo delle autorità cinesi e nessuno ha idea di dove lei possa essere detenuta. Se gli atleti vanno in Cina, nessuno può garantire loro sicurezza”.

Nel frattempo, l’account Twitter di Pechino 2022 da ormai un mese continua a nascondere sotto ogni post ogni genere di riferimento a Peng Shuai. Su Weibo, invece, l’account WTA è senza più alcuna attività dall’1 dicembre, poco prima dell’annuncio della sospensione delle sue attività in Cina. Non si sa se la censura abbia agito o se sia solo un momentaneo stallo.

Diego Barbiani

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Tags: Peng Shuai

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