“Alla mia età non si è mai sicuri di cosa ci sia dietro l’angolo”. La triste ammissione di Federer sembra una battuta rubata dal copione di Forrest Gump e in effetti, data la situazione, consolarsi pescando a caso un po’ di dolcezza da una scatola di cioccolatini potrebbe rendere meno amare le sue parole.
The King lascia il prato di Wimbledon tra gli applausi scroscianti del pubblico, un caloroso e interminabile abbraccio sonoro lo avvolge dopo lo sconfitta e sembra quasi sussurrargli una preghiera: promettici che è solo un arrivederci. Perché questa uscita di scena di Roger non può essere quella definitiva, perché questo finale non avrebbe senso…anche se tante volte un senso non c’è. I saggi sostengono che l’unico modo per dare un senso alla vita è guardarne sempre il lato positivo.
Il difficile però è trovarlo il lato giusto nelle frequenti difficoltà, nei casi in cui il destino sembra invece giocare contro e si diverte beffardo a veder naufragare sogni e sacrifici con sadico cinismo. Aspettative coltivate intensamente che si disintegrano in un istante: è un attimo e l’imprevedibile porta via tutto il duro lavoro fatto. Non capita solo a Federer: basta pensare a Baggio e al suo rigore sbagliato ai Mondiali del ‘94. Il doloroso rammarico per la finale persa a Pasedena contro il Brasile ai rigori ha guastato il sonno del “Divin Codino” per molto tempo. Tanta mestizia anche davanti al decimo titolo mondiale sfumato per una manciata di punti proprio sotto il naso di Valentino Rossi. Il campione di Tavullia nel 2015, come Don Abbondio di fronte a due novelli Bravi, è costretto a soccombere: “questo titolo non s’ha da fare, né domani, né mai”. È analogo anche il grosso rimpianto con cui Roger Federer convive da due anni: due match point annullati durante la finale di Wimbledon del 2019 che decretarono impietosi una sconfitta amara, una delusione difficile da smaltire quando il tempo ti rincorre senza tregua e inimmaginabili imprevisti allontanano il traguardo. Un fardello che sarebbe stato un vero sollievo eliminare con una rivincita. Sarebbe stato come spostare indietro le lancette del tempo, per tornare sul Centre Court, a quella domenica pomeriggio di due anni fa per provare a realizzare un finale diverso magari proprio contro lo stesso straordinario Nole. Non tanto per cambiarne l’esito ma più per cercare di mutare il modo in cui l’epilogo del match si era consumato. Un sogno di una sera di inizio estate in cui Federer poteva riuscire a sollevare la coppa al cielo confortandoci sull’esistenza di un senso razionale, lucido e anche romantico alla regia degli eventi della vita. Se l’elvetico infatti avesse conquistato Wimbledon nel 2019, probabilmente si sarebbe ritirato chiudendo in bellezza una carriera unica. Ma il rammarico di non essere riuscito a centrare l’obiettivo è come una piccola macchia che però cattura inesorabilmente l’attenzione quando sai che c’è e ti disturba, distogliendoti dall’ammirare tutto il bello che la circonda. Se ci fosse davvero un senso adesso Roger non si affannerebbe a inseguire un riconoscimento di cui la sua bravura non ha comunque bisogno, non bramerebbe un’ultima coppa che il tempo dispettoso continua a negargli mostrandogli in modo irriguardoso tutti i suoi odierni limiti. A un passo dalla semifinale Roger cede nel suo giardino inglese, sconfitto in tre set dal polacco Hurkacz. Davvero tutte queste tribolazioni, questi dolorosi affanni sono il senso della vita? Se è così difficile trovare una risposta, non sarà forse perché è sbagliata la domanda? Il senso della vita magari non c’è, non esiste semplicemente perché l’importante è trovare cosa ha senso nella vita. Di sicuro ha senso lasciare tracce epiche, ricordi talmente belli ed emozionanti che nessun tiro sbagliato, nessuna rimonta inutile e nessun match point annullato potrà cancellare. Perché quei ricordi eccezionali che abbiamo avuto fortunatamente in dono resteranno scolpiti nella memoria di tutti e, soprattutto, nel cuore di molti.
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