Da ieri pomeriggio frulla in testa una parola, agli appassionati di tennis italiani, anzi la si grida ad alta voce: sogno.
Un sogno, ma che sogno, non voglio interrompere il sogno, vogliamo sognare.
Tutto molto bello e tutto molto genuino, e già di questo dobbiamo dire davvero grazie, a Matteo Berrettini.
Ovvio che il Berry lo fa per lui e non per noi, perchè lui, a differenza di chi tenta di appropriarsi di quel sogno scrivendo post e dichiarazioni deliranti, ha davvero la possibilità di realizzare il suo sogno, e quindi è giusto che alla domanda se ci crede, lui dica “sì, ci credo”, perchè così deve essere.
L’unico davvero giustificato a credere in qualcosa che sarebbe pazzesco è lui, solo lui, fortissimamente lui. Perchè a differenza nostra, ha lavorato come un matto ogni santo giorno per rendere realtà quella fantasia che aveva ogni mattina uscendo da casa, nonostante i sorrisini altrui.
Perchè in pochi, pochissimi eletti, in questo mondo e in questo sport, hanno la possibilità di rendere realtà una risposta che magari ha fatto ridere chi faceva la domanda.
“Qual è il tuo sogno?” “Vincere Wimbledon”. E certo, certo. Come no, Mattè. Tant’è. Così come fanno ridere i “io l’avevo detto” o “io lo seguo da quando faceva il challenger di…”. Vabbè.
Lasciando perdere quello che leggete e leggerete in queste ore prima del grande evento, e lasciando perdere ancor di più quello che avete letto nelle ore immediatamente successiva alla semifinale (per dirne una: no, Berrettini non è Sampras), ci tocca come successo qualche altra volta la parte dei cattivi, da queste parti.
Ci piace un po’, è vero, ma alla fine è l’unico vestito che sembra andarci bene in ogni occasione. Come successo qualche mese fa, quando vi avevamo svelato che (udite udite) Sinner non era la Madonna, e anche se ha ancora tutto il tempo del mondo per diventarlo, ancora non lo è.
E i tentativi, alquanto curiosi, di farlo ancora apparire tale (tipo quello di trasformare “una partita alla pari” quella tra Djokovic e Fucsovics, avversario di Jannik al primo turno) sono stati magari maldestri. Così come qualche sua difesa, e anche qualche attacco (vero, Barazzutti?).
I carri, si sa, sono molto stretti o molto larghi in ogni occasione. Così come la memoria, che può essere “lunga” oppure inesistente.
Dunque, ora il carro di Berrettini è pieno fino a scoppiare, colmo di persone che fino a qualche mese si chiedevano come fosse possibile che uno “con quel rovescio” potesse essere top 10 e che “meno male che ci sono Sinner e Musetti”.
Detto questo, e tornando al discorso originale, purtroppo per lui e per noi, Berry troverà in finale “il mostro”.
Al secolo Novak Djokovic. Un uomo magari non truce, ma certamente il giocatore più spietato di tutti i tempi (anche il più forte, ma di questo ne parleremo un’altra volta). Una sorta di Palpatine con la racchetta in mano.
Ha distrutto molti sogni, Nole. A Wimbledon l’ultima volta scippò, letteralmente, il ventunesimo slam a Federer. Annullando due match point, forse i match point più pesanti della storia del tennis, almeno in quella recente. Sempre solo. Sempre contro tutto e tutti. Ma fortissimo. Troppo forte. Probabilmente anche per Berrettini.
Il tennis di Djokovic negli anni si è evoluto, ed è diventato sadico. Nole sbaglia, come tutti, ma sbaglia molto, molto meno degli altri. Gli altri lo sanno, e ad un certo punto crollano perchè sanno proprio che prima o poi sbaglieranno. Non ce la fanno di testa. Chiedere a Tsitsipas a Parigi. Alla fine, un vincente o uno sbaglio altrui valgono lo stesso: un 15.
Novak è un Cell che si nutre delle paure altrui, fino a diventare l’essere perfetto, in questo caso il tennista perfetto. E quando qualcuno lo mette in difficoltà col gioco, lui alza il livello (di combattimento) all’improvviso. Aspettando che l’altro ceda, si stanchi o qualsiasi altra cosa. “Dimostrami quello che sai fare, io sono qui”. In certi tratti della partita sembra possibile batterlo, ma 3 su 5, fuori dal rosso, praticamente non perde dall’Australian Open 2018, con Chung, quando giocava senza gomito e in uno stato mentale non certo da lui.
Il punto, e i giovani lo sanno meglio di chiunque altro, è che per batterlo dovresti mantenere un livello che non è possibile mantenere per 3-4 ore.
Matteo ci proverà. Proverà a fare l’impossibile. Proverà ad essere Gohan. Ce la farà? Difficile. Per chi vi scrive, no.
Importa? Forse no, forse sì. Perchè la pacca sulle spalle è bella, ma il trofeo è meglio.
E’ vero, il tennis è lo sport del Diavolo, per dirla alla Panatta. Il punto è che domani, in finale, dall’altra parte della rete ci sarà il Diavolo. In persona.
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