[1] A. Barty b. [8] Ka. Pliskova 6-3 6-7(4) 6-3
Quando finisci così, piegandoti su te stessa quattro volte, inginocchiandoti sul campo centrale di Wimbledon, mani sul volto, sfogando le proprie emozioni come mai prima d’ora in carriera mentre tutto attorno a te diventa caotico, allora vuol dire che si è fatto qualcosa di veramente speciale. E per Ashleigh Barty tutto ciò vuol dire realizzare un sogno che forse mai come questa volta sentiva di poter raggiungere e che mai come questa volta si è fatto sentire in una finale dura, difficile e con alcuni attimi di affanno contro Karolina Pliskova.
Da come le due avevano cominciato sembrava poter diventare un assolo dell’australiana, capace di vincere i primi 14 punti della partita e salire 6-3 3-1, poi è arrivata la svolta, il rientro della ceca, il primo momento che non si è concretizzato e un terzo set vissuto a quel punto sul 50-50 ma senza più contare sul servizio e sulla tranquillità della prima metà di gara. Eppure ce l’ha fatta e da numero 1 del mondo ha messo finalmente le mani sul trofeo che ha desiderato fin da quando era bambina. Ci sono momenti che racchiudono una carriera intera, e tutte le emozioni che stava provando sono esplose mano a mano che si stava avvicinando ai punti decisivi, con le lacrime trattenute fino a dopo l’ultimo punto.
Un 6-3 6-7(4) 6-3 che avrebbe potuto essere molto più leggero, facile, rapido, ma che l’ha spinta a tirare fuori tutto quello che aveva aggrappata con le unghie alla sua qualità e alla sua resistenza. La Barty dei primi game era in assoluto la miglior versione vista fin qui, capace di indovinare passanti in rovescio lungolinea, di servire un’altissima percentuale di prime e di trovare con enorme facilità i punti deboli di Pliskova. Le arrivava una palla troppo docile, comandava lei ogni scambio. La colpiva di dritto e puntava ad aprirsi il campo sul dritto avversario, andava con lo slice e muoveva liberamente la palla cercando rimbalzi molto bassi. Arrivata sul 4-0 ha avuto un calo di concentrazione, ha sbagliato i primi dritti della sua partita e in generale il servizio non era più particolarmente incisivo, tanto da perdere male i due turni di battuta che hanno in qualche modo dato respiro alla ceca.
Sul 5-3 non era più tempo di scherzare, e un gran game tra prime e dritti vincenti le ha dato il 6-3. Dieci anni fa, nel 2011, vinceva il titolo junior. Aveva 15 anni, in diversi la descrivevano come un’ottima giocatrice. Per arrivare qui, oggi, a un set dal vincere il titolo ha avuto un percorso di crescita molto particolare. Oggi sembrava tutto abbastanza facile, un brutto game al servizio della ceca le dava il 2-1 col break capitalizzato per il 3-1 e quando tutto sembrava avviato alla conclusione Pliskova è riuscita a mettere per la prima volta la testa fuori dal guscio e due potenti pallate sul 2-3, dallo 0-15, hanno girato l’inerzia del set. Ha fatto il controbreak, e da lì ha vinto 13 punti consecutivi al servizio fino al 5-5 40-0. Da qui, invece di una normale chiusura, Pliskova si è incartata su una voleè bassa non facilissima per le sue lunghe leve, ma che ha riaperto un game dove Barty l’ha subito colpita con un dritto vincente e con un gran punto sulla difensiva arrivava addirittura a palla break, realizzata.
Il primo momento della verità per l’australiana era un gran disastro. La prima non c’era, il gioco era molto debole e la ceca facilmente arrivava al 6-6, lì dove tra due nastri molto di parte riusciva a scavare un solco troppo pesante e chiudere 7-4. Nelle prime fasi del terzo, poi, Barty continuava a patire questa scarsa presenza di prime palle ma veniva fuori bene dal primo turno di battuta, cosa che invece Karolina ha terribilmente fallito. Come sull’1-1 nel secondo set, la ceca ha regalato il break giocando malissimo e chiudendo con una voleè comoda messa sotto al nastro. Ashleigh, sfruttando il calo, si è portata sul 3-0 e ha potuto un po’ respirare. Non era facile, perché il movimento del servizio era ormai perso da almeno una mezz’ora e aveva tante difficoltà nel farsi padrona del gioco. Non spingeva più tanto bene, si affidava perlopiù agli scambi lunghi per togliere efficacia alla potenza della ceca che sul 3-1 regalava il punto del 40-30 e concedeva alla numero 1 del mondo di andare sul 4-1. Poche difficoltà per il game del 5-2 e infine, sul 5-3, la lunga e laboriosa scalata verso il match point. Cercava di mettere delle prime a velocità inferiore, ma le gambe non sempre rispondevano bene. Partiva avanti, ma Pliskova rimaneva lì e sul 30-30 si prendeva la palla break dopo un grave dritto di Barty colpito con tanta tensione, al volo, messo sotto al nastro. Come lei ha sbagliato una palla banale per le sue qualità, Pliskova ha giocato malissimo la chance di rientrare con un rovescio a braccio teso mandato ben oltre la linea laterale. Così, di colpo, sul 40-40 Barty ha servito un ace al centro. Sul match point ha provato, di nuovo, soprattutto a tenere vivo lo scambio e dopo l’ultima palla radente non rigiocati dalla ceca ha liberato delle emozioni che non aveva mai mostrato.
Un titolo a Wimbledon cambia la vita, farlo onorando il tuo idolo (Evonne Goolagong) col vestito che ricorda quello indossato nel cinquantesimo anniversario della vittoria a Wimbledon nel 1971 è ancora più speciale. Realizzare così il sogno di una vita vale tutte le lacrime di gioia che possono esserci, e la sua reazione in mezzo al campo, piegata su se stessa, coprendosi il volto e non sapendo bene dove girarsi, è stata la reazione più tenera che potesse esserci.
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