[1] A. Barty b. D. Kovinic 6-0 6-0
Ashleigh Barty è entrata nel torneo. Numero 1 del mondo, nello Slam di casa. Tensione? Nemmeno l’ombra. E ha detto a Jelena Dokic, a fine partita, che tutto sommato un po’ di agitazione c’era, ma alla fine il risultato è stato straripante. L’australiana ha dominato in maniera a tratti anche difficile da guardare perché era un attimo passare dai commenti ai suoi gesti tecnici e ai colpi a invece le difficoltà enormi che stava passando Danka Kovinic, costretta a una prima volta assoluta sulla Rod Laver Arena che però vorrà dimenticare quanto prima.
6-0 6-0 il punteggio che ha premiato la giocatrice che ha tutti gli occhi addosso, che è chiamata a fare grandi cose, a vincere un titolo che agli australiani manca ormai da mezzo secolo (nel femminile) e che è così timida che nella logica psicologica potrebbero anche scattare molle avverse. Oggi è stato un trionfo, per lei, alla vittoria più netta della carriera perdendo, oltretutto, solo 10 punti in tutto il match, vincendo i primi 16 di fila e poi con un’altra serie di 10 vinti a metà del secondo set.
Lei nel 2019 prendeva la prima vittoria pesante della carriera in questo torneo battendo agli ottavi di finale Maria Sharapova 6-4 al terzo, in un ultimo game da cardiopalma con due hawkeye chiamati su altrettanti match point: il primo fuori di un picometro, il secondo con giusto una sfumatura lasciata sulla riga centrale. Quel giorno esultò coinvolgendo tutto lo stadio e già con gli australiani che la amano anche per la sua storia personale e per il suo essere genuina, da allora sono in totale estasi. Fu un peccato enorme, da questo punto di vista, che nel 2020 non prese la finale malgrado set point mancati nel primo e nel secondo set contro Sofia Kenin: per quell’ultima partita le tribune della Rod Laver Arena avrebbero tremato in ogni minuto fin da ore prima dell’ingresso in campo.
Oggi quello stadio è colpito dalla pandemia, pur avendo spettatori all’interno, ma non trasuda quel calore tipico. Eppure Barty, con molta naturalezza, ha ricominciato il suo cammino. Ci proverà ancora e dopo un anno di assenza non vedeva l’ora di ricominciare.
J. Pegula b. [12] V. Azarenka 7-5 6-4
Jessica Pegula, figlia del proprietario della franchigia di football americano dei Buffalo Bills, sta vivendo ormai da qualche mese il periodo più sereno della sua carriera. Lei è nata nel 1994, ma per tanti anni figurava sempre oltre le prime 100 del mondo e un grande difetto: non riuscire a imporsi nelle finali. Non parliamo di eventi del circuito maggiore, dove comunque la sua presenza latitava, ma di ogni livello del tennis femminile. Sono state otto le sconfitte subite negli ultimi atti in carriera prima che nell’agosto del 2019 spezzò questo tabù a Washington DC battendo Camila Giorgi nella sfida che le ha dato il primo trofeo e un posto ormai stabile in top-100.
Da allora Jessica sembra aver cambiato passo, se non altro nell’approccio al tour. Ha chiesto aiuto all’ex (storico) coach di Venus Williams David Witt e malgrado non sia un talento esplosivo ha trovato una definizione di buona giocatrice sulle superfici molto veloci. Nel 2020 è arrivata la finale ad Auckland e i quarti al Western & Southern Open, adesso il primo successo in carriera all’Australian Open dove è riuscita a cogliere lo scalpo più prestigioso della carriera in Victoria Azarenka. La bielorussa era tra le sfortunate giocatrici che sono state costrette alla dura quarantena e probabilmente questo ha influito nel 7-5 6-4 odierno come già si notava una condizione ben lontana dall’ottimale nel match vinto per il rotto della cuffia contro Yulia Putintseva durante i tornei di preparazione.
Pegula si è ambientata benissimo, spingeva quasi senza far fatica e trovava buoni vincenti soprattutto di rovescio, con la palla che oltre a essere profonda rimbalzava molto poco. La partita però, almeno nella prima parte, era ad appannaggio della ex numero 1 del mondo fino a quando però non si è incartata. Era avanti 5-2, ha avuto set point, non ha chiuso e in quei momenti sono cominciati i veri problemi. Non solo di gioco, perché anche fisicamente sembrava soffrire con il volto divenuto paonazzo, lo sguardo un po’ più perso e tanta confusione di colpo sopraggiunta nel suo gioco, da non farle tenere lo scambio e da aggiungere tanti slice “difensivi” in fasi di palleggio, come a non reggere più il ritmo.
La statunitense vinceva con merito i cinque game successivi per salire avanti di un set e nella prima parte del secondo prendeva ulteriore margine. Sul 4-2 in suo favore, però, Azarenka (40-0 e servizio) è arrivata al colmo e ha cominciato a ciondolare, accasciandosi poi a terra. Fortunatamente dopo poco si è capito non ci fosse nulla di troppo preoccupante, ma il suo corpo sembrava estremamente provato dallo sforzo tanto da non riuscire a prendere sufficiente aria. Sono intervenuti a visitarla, lei si è rilassata a livello muscolare e a poco a poco è tornata in condizioni sufficienti per poter giocare, ma a maggior ragione si era visto non potesse ambire oggi a molto più di quanto fatto fin lì. Il controbreak per il 4-4 ha creato un’illusione durata un paio di minuti, il tempo di servire palle troppo docili e tornare a muoversi abbastanza male, finendo poi per capitolare nel decimo game quando Pegula ha chiuso addirittura con un ace.
La bielorussa non ha poi voluto dire nulla su cosa effettivamente le sia successo ma resta il fatto che lei ha avuto questo problema, ieri Angelique Kerber è stata assente dal campo per un set e mezzo perdendo sonoramente e a sorpresa contro Bernarda Pera 6-0 6-4 (dopo aver perso i primi 9 dei primi 10 game) mentre ancor peggio ha fatto Alison Riske, che si è fatta travolgere 6-2 6-1 contro Anastasia Potapova. Fin qui son cadute sei teste di serie, loro erano tre di quelle in quarantena totale e nelle loro partite sono state vittima di problemi più o meno evidenti. Forse un filo logico c’è, come dice anche Azarenka in conferenza stampa: “Certo che dover rimanere chiusa in camera mi ha condizionato, ma non voglio usarla come scusa. Mi spiace che non abbia potuto giocare come so, ma soprattutto che non sia stata in grado in quei giorni di poter avere aria fresca da respirare”. E probabilmente ancora non aveva recuperato bene.
[4] S. Kenin b. [WC] M. Inglis 7-5 6-4
Da un certo punto di vista Sofia Kenin ha di che sorridere. In questo momento una vittoria, comunque sia, deve essere presa con buon umore. Dall’altro, e sembrava mostrarlo in conferenza stampa dove un po’ seccata sottolineava ogni aspetto che non le stava piacendo, sa che così non può continuare ma in questo momento non sembra in grado di chiedere di più dalla propria condizione. Il suo 2021 è cominciato tra diversi stenti ad Abu Dhabi, e qui in Australia si sta riconfermando tra prestazioni abbastanza al di sotto del suo livello, con una concentrazione molto limitata, diversi errori e segnali di frustrazione ben più evidenti. È una che chiede tanto a se stessa e si innervosisce spesso quando le cose non vanno come vorrebbe, ma adesso a tratti sembra non sapere troppo bene dove trovare quelle marce in più che le permetterebbero di vivere questa difesa del titolo con più fiducia.
Ha vinto, oggi, ma un 7-5 6-4 con buona dose di fatica contro Maddison Inglis, wild card locale numero 133 del mondo, è in linea con le partite giocate da inizio stagione. Molto altalenante e incerta, non è parsa mai poter prendere il comando di una partita che avrebbe forse voluto affrontare diversamente. Anzi, è stata lei a finire per prima indietro di un break, ma in grado immediatamente di riprendersi. Il break che ha deciso la prima frazione è arrivato sul 5-5, ma anche dopo il set di vantaggio preso è rimasta piuttosto tesa, rischiando un po’ troppo nel parziale successivo quando Inglis ha ricucito un primo allungo e stava per mettere la testa avanti sul 4-3, mentre sul 5-4 e servizio Kenin ha faticato parecchio per chiudere, offrendo anche chance all’australiana di pareggiare nuovamente i conti.
Oggi ha vinto, tra due giorni però avrà bisogno di una prova molto diversa. Rischierà tantissimo, perché avrà di fronte Kaia Kanepi. Se non bastasse il rendimento dell’estone di questi giorni tra la finale al Gippsland Trophy e il doppio 6-1 ad Aryna Sabalenka provate a chiedere a Simona Halep, che ancora ha i brividi a ripensare al doppio confronto tra USA e Australia 2018/2019. Se c’è una mina vagante per eccellenza, quella è Kaia. E Kenin in questa situazione sarà tremendamente sotto pressione.
Altri risultati
Partita piuttosto divertente tra Elina Svitolina e Marie Bouzkova. Il loro precedente di Monterrey dello scorso anno parlava chiaro: tre set di pura lotta, braccio di ferro, scambi lunghi e chilometri percorsi. In tutto ciò, due caratteri generosissimi in campo e due belle personalità, con l’ucraina e la ceca tra le più apprezzate in assoluto dell’intero tour femminile, la prima a pagare spontaneamente l’intero costo dell’operazione d’urgenza al crociato della giovanissima connazionale Dasha Lopatetska, la seconda a condurre video chiamate su Zoom con bambini di 8/10 anni durante la pandemia per parlare con loro di tennis, tattica, tecnica e aneddoti.
Oggi, in campo, Svitolina ha confermato la vittoria di un anno fa pur di nuovo dopo due ore di testa a testa lungo il 6-3 7-6(5) che è quasi crudele per Bouzkova, perché fin qui in Australia aveva giocato piuttosto bene e già la scorsa settimana si vide fermata solo da Ashleigh Barty in tre set. Adesso Elina avrà Cori Gauff, che invece non ha ripetuto le difficoltà dello Yarra Valley Classic contro Jil Teichmann superando nuovamente la svizzera ma con molto meno affanno: 6-3 6-2.
Tutto facile per Garbine Muguruza, che si è imposta 6-4 6-0 contro Margarita Gasparyan e domani sarà di nuovo in campo contro Liudmila Samsonova, che ha vinto un match durissimo contro Paula Badosa per 6-7(5) 7-6(4) 7-5. Piccolo appunto su queste partite: dovevano giocarsi ieri, ma la WTA (al contrario dell’ATP) ha concesso un giorno di riposo alle giocatrici che erano scese in campo domenica. Muguruza aveva giocato la finale dello Yarra Valley Classic, né Samsonova o Badosa avevano invece giocato, ma la Paula è stata la più sfortunata tra i tennisti in quarantena perché dopo sette giorni dal suo arrivo è risultata positiva al Covid assieme al coach, ed entrambi sono rimasti chiusi in camera fino al 4 febbraio, una settimana in più degli altri. Per questo si è concesso anche a lei un giorno in più di preparazione.
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