Una ‘tread’ su Twitter con John Isner protagonista ha di nuovo scatenato polemiche per i punti di vista del tennista statunitense, dichiarato repubblicano e sostenitore del Presidente Donald Trump, contro le misure protettive che il mondo ha dovuto prendere per ridurre la diffusione di infezione da SARS-CoV-2.
L’ex top-10 stava guardando una partita di NFL, la lega di Football statunitense, e si lamentava di come i coach a bordo campo fossero costretti a usare mascherine definendo il tutto una sorta di teatrino. A un utente che gli ha risposto “chiunque dovrebbe indossare le mascherine” ha risposto con un breve messaggio: “Brainwashed”, a indicare che gli fosse stato fatto il lavaggio del cervello.
È un contesto banale, l’affermazione di per sé non è troppo rilevante se non fosse però che questo pensiero è in linea con quello di una cerchia molto grande di persone che ancora oggi rifiutano di adottare rimedi per ridurre la diffusione del contagio. Lo scontro tra negazionismi e persone disposte a seguire i protocolli sanitari, negli Stati Uniti, è forse qualcosa di molto più grande rispetto a ogni altro paese e i dati quotidiani che vengono da oltre oceano hanno reso “normalità” avere oltre 200.000 casi di infezioni e numeri di morti che si aggirano sui livelli da un 11 settembre al giorno.
Lo stesso Isner in estate si era rivolto con tono sprezzante anche contro diversi che storcevano il naso per un’esibizione organizzata e aperta al pubblico, la prima dopo la pausa del 3 marzo, in uno degli stati più a rischio per la velocità con cui il covid-19 si diffondeva e soprattutto dopo le tante polemiche nate dall’Adria Tour a giugno. Isner, replicando, chiamò “coronabro” chi non era d’accordo, dicendo che potevano anche continuare a nascondersi nei loro seminterrati mentre le persone intorno decidevano di vivere la loro vita.
Come detto, però, questi atteggiamenti di Isner in termini di visioni politiche non sono una novità. Tra l’altro una decina di giorni era fa al matrimonio di Jack Sock con decine di invitati e nessuno che rispettasse le norme sanitarie. E tra una ventina di giorni dovrà dirigersi a Melbourne. La città australiana è uno dei simboli di come un lockdown duro e l’obbligo di mascherine abbiano drasticamente ridotto i rischi di infezione. Dopo oltre tre mesi, da fine ottobre la capitale di Victoria non fa registrare casi a livello locale. Ci sono al momento 12 casi attivi, tutti rilevati da persone che entravano da altri stati (come il Nuovo Galles del Sud, da cui c’è obbligo di quarantena dopo il focolaio a nord di Sydney), o da oltre oceano.
Isner sarà chiamato a rispettare 14 giorni di quarantena come tutti, ma la rabbia di tanti utenti che lo hanno criticato nasceva dall’atteggiamento irresponsabile che sta avendo in questi mesi, ovvero quanto gli australiani ora non vogliono avere a che fare dopo aver investito energie (anche e soprattutto mentali) per uscire da 111 giorni di chiusure ed essere tornati a una condizione vivibile malgrado alcune restrizioni (come le stesse mascherine) siano ancora in corso per i luoghi più affollati o quando è impossibile mantenere la distanza di sicurezza.
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