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Dal caso Zverev alla fuga di Querrey: tutti gli strani silenzi dell’ATP

Da una parte chi attacca, dall’altra chi rifiuta il confronto. Non si è sgonfiata la vicenda che vede Alexander Zverev al centro di accuse pesanti e dettagliate dalla ex compagna Olya Sharypova. Violenze domestiche, psicologiche e un tentativo di suicidio con una puntura di insulina sono le parti più dure emerse dal racconto della russa al portale (e magazine) statunitense Racquet, ma soprattutto sembra crescere la marea di persone che non vedono un tentativo da parte sua di ottenere visibilità e guadagno.

Non c’è una denuncia o un’indagine in corso contro il tedesco, ed è giusto ricordarlo una volta di più, ma uscendo dalla bolla giudiziaria e dal concetto di “innocente fino a prova contraria” c’è la sensazione che non tutto sia effettivamente così pulito come lasciava intendere Zverev nel breve comunicato in cui non ha fornito risposte ai primi indizi emersi e ha solamente bollato tutto come “falso”. Da allora c’è un silenzio suo, del manager, del team, dell’ATP, che stride un po’ a fronte di un volume così corposo di accuse.

Assieme alla rivista Racquet, collegata al New York Times tramite Ben Rothenberg (autore della stessa intervista e giornalista del noto quotidiano USA), cominciano ad affiancarsi alcuni portali di spessore dell’universo statunitense tra cui la famosa Sport Illustrated, dove lavora un altro volto molto noto nel mondo del tennis come Jon Wertheim. I due hanno fatto un podcast dove cercavano di toccare i punti chiave di una storia ancora incompleta: manca l’ultima parte, quando Olya ruppe definitivamente con ‘Sascha’ a Shanghai. Il 9 ottobre 2019 lei era in tribuna al suo match, il 10 lei non c’era più e lui è sceso in campo con dei vistosi graffi al collo.

L’ATP nell’ultimo periodo non è sembrata pronta, dal punto di vista comunicativo, a una situazione così. Già la storia di Sam Querrey, fuggito da San Pietroburgo con moglie e neonato per timore di essere ricoverato in ospedale dopo essere risultato positivo al covid-19 è stata affrontata in maniera non particolarmente egregia. Un’infrazione pesante del protocollo sanitario che poteva costare tanto anche all’ATP stessa visti i salti mortali che sta facendo per proporre un calendario tennistico accettabile nel mezzo di una pandemia coi paesi costretti a limitazioni se non veri lockdown, sapendo in partenza che i bilanci saranno pessimi e dovendo farsi ancor più responsabili su quanto avviene. Querrey ha commesso un errore enorme e ha pochi alibi, l’ATP dopo essersi trovata di fronte al fatto compiuto e diffuso sui social da alcuni giornalisti (tra cui lo stesso Rothenberg) ha deciso di comunicare l’apertura di un’indagine che, a un mese di distanza, ancora attende uno sviluppo. Le telecamere di sicurezza pare abbiano ripreso i Querrey uscire durante la notte dall’hotel, per non farsi notare, e da lì fuggire verso un paese vicino che li avrebbe accettati senza l’obbligo di mostrare un tampone negativo al nuovo coronavirus. Ora lo statunitense ha scontato la quarantena ed è tranquillamente tornato in California. Il fatto rimane grave, soprattutto perché oltre all’indifferenza verso le regole Querrey ha evidenziato egoismo nello spostarsi a bordo di un jet privato mettendo a rischio quantomeno la salute del pilota.

Il caso Zverev, però, se possibile entra in una dinamica ancor più spinosa, sulla scia di quello che ha visto in maggio Nikoloz Basilashvili accusato di violenza domestica contro la moglie, rilasciato su cauzione e con un processo tutt’ora in corso. Del tedesco ne hanno parlato Rothenberg e Wertheim (“queste sono accuse, non denunce, e l’accusato può giustamente difendersi, ma queste sono accuse forti e credibili” e spiegando che non basta un semplice comunicato per chiudere la faccenda), ma anche Tennis Podcast, punto di riferimento per gli appassionati soprattutto in Inghilterra, e un altro podcast, The Body Serve, che ha evidenziato una volta di più la gestione molto discutibile del momento. Sempre Wertheim, scrive: “Volete veramente ignorare un potenziale atto di violenza domestica commesso (possibilmente) da un top player, durante un torneo, in un hotel ufficiale?”. Di base l’ATP non ha vero controllo della situazione. È vero che ci sono queste accuse, ma Zverev a conti fatti non lavora per loro, non è un dipendente ATP, non percepisce uno stipendio. Zverev, però, è parte del Circus ed è da anni considerato come personaggio simbolo del futuro del tennis maschile. E nel regolamento ATP c’è un punto in cui potrebbe rientrare questo scenario: alla voce “Condotta contraria all’integrità del gioco” un giocatore, o una persona collegata, colpevole di un’infrazione del codice civile e penale oltre a una multa fino a 100.000 dollari rischia anche la sospensione dal circuito ATP fino a un massimo di tre anni. Per Basilashvili non c’è stato ancora alcun provvedimento, per Zverev potrebbe essere diverso perché l’ATP rientra spesso nei racconti di Olya come contesto nel quale succedevano i fatti. Il tedesco è tutt’ora lontano dall’essere considerato colpevole per il regolamento, ma potrebbe esserci tutto l’interesse per l’associazione a far chiarezza almeno sul tentativo di suicidio di Olya. La russa racconta di essersi fatta una puntura di insulina e per contrastarne l’effetto le venne somministrato da un ufficiale del torneo (durante la Laver Cup 2019) quello che le sembrò essere glucosio. L’edizione di Ginevra è stata anche la prima Laver Cup come evento ATP oltre che dalla Team-8, l’agenzia di management creata nel 2013 da Roger Federer e Tony Godsick che gestisce anche l’immagine dello stesso Zverev, e sebbene l’ufficiale in questione abbia declinato a Rothenberg ogni commento per rispetto della privacy, l’ATP potrebbe trovarsi una volta di più immischiata.

Dovrebbe esserci da parte loro pieno interesse a dimostrare che non hanno niente a che fare, sgravandosi di ogni minima responsabilità. Steve Tignor, giornalista con pubblicazioni su diversi siti tra cui tennis.com, il portale online di Tennis Channel, dice: “Se Zverev è innocente, come dice, un’investigazione potrebbe aiutarlo a pulire il suo nome, o quantomeno dare la sua versione della storia”. Sono estranei ed è tutto inventato? Hanno a cuore l’immagine di Zverev perché punto di riferimento sia sportivo che aziendale? Benissimo, hanno tutto il diritto allora a pulirsi l’immagine, sia nei loro confronti per staccare e difendere il marchio ATP, sia nei confronti di Zverev perché le accuse non gli possano creare problemi, sia soprattutto nei confronti dei fan che meritano un chiarimento. Invece ancora oggi tutto tace: suona male, ma per quanto si riesce a percepire sembra esserci enorme imbarazzo. Poco prima dell’inizio del Master 1000 di Bercy il profilo Twitter ufficiale del torneo ha pubblicato una foto di Zverev, cancellata poi per i tanti messaggi di critiche ricevuti. Raramente menzionato dai profili di ATP Tour e TennisTV, sono apparsi contenuti su di lui solo all’approdo in finale, quando proprio non si poteva farne a meno. Le frasi di Zverev sul palco, durante la premiazione, hanno forse ancor più rischiato di generare un incidente diplomatico: il dire “so che ci sono molte persone che stanno cercando di togliermi un sorriso dal volto ma sotto questa maschera sorrido brillantemente. Tutto è fantastico nella mia vita. Le persone che stanno cercando (di farmi del male) possono continuare a provare” sembra il modo peggiore di eliminare il moto di rabbia che c’è nei suoi confronti.

Questa situazione, per quanto rischiosa, potrebbe lanciare anche un altro messaggio che l’ATP dovrebbe far di tutto per evitare: non esponendosi corre il rischio di favorire, soprattutto, chi sta cercando di insabbiare la vicenda. È più che verosimile che tutto ciò termini in una bolla di sapone, soprattutto se a priori si da più credibilità a chi non ha voce in capitolo anziché a chi si mostra come vittima, o se siamo convinti che solo con prove evidenti si possa discutere. Ed è questa una ragione per cui in generale le vittime di violenze domestiche hanno spesso paura a farsi avanti: il minimo che possa succedere è che tutto si ribalti contro e oltre al trauma ci siano anche ritorsioni e il terrore che il loro incubo possa in qualche modo peggiorare. In questo caso, addirittura, nemmeno gli amici di Sharypova che l’hanno ospitata a New York dopo la fuga dall’hotel erano dalla sua parte e hanno cercato di riportare Zverev nella sua vita. Lei ha deciso di farsi avanti riconoscendo da subito di non avere prove che dimostrino al 100% la veridicità delle sue frasi (e forse anche per questo di non voler denunciare i fatti in un tribunale), ma come dicevamo gli indizi ci possono essere: dalle ferite sul braccio e sul volto mostrate in due foto a Rothenberg alle foto dei suoi bagagli gettati nel corridoio dell’hotel a New York, dalle testimonianze di chi inizialmente non le credeva all’ufficiale che la salvò alla Laver Cup, fino ai tre graffi sul collo di Zverev a Shanghai comparsi il 10 ottobre dello scorso anno, giorno in cui Olya è sparita dal suo box.

Sta crescendo il pensiero di chi vorrebbe l’ATP più pronta e per Wertheim basterebbe un semplice comunicato, almeno come inizio. Il giornalista dice che potrebbero anche copiare le sue parole: che l’ATP si ponga contro ogni forma di violenza domestica, potendo far notare come i recenti sviluppi siano forma di preoccupazione per loro anche perché rivolte a uno dei loro giocatori (e con sviluppi importanti durante le loro manifestazioni, aggiungiamo) prendendosi il diritto di affidarsi a un ufficio legale che possa condurre un’indagine indipendente riguardo ai fatti, rispettando il diritto della persona accusata di rigettare le accuse e finché non ci saranno esiti il giocatore potrà continuare a svolgere la propria attività. A questo punto, come denota anche Tennis Podcast, può benissimo essere un loro interesse cercare di emergere puliti malgrado non ci siano deferimenti reali.

Come scriveva qualche giorno fa Rothenberg su Twitter, alcuni sponsor del tedesco (tra cui la Adidas) dovrebbero essere in scadenza entro fine 2020. Anche loro, in questo caso, sono chiamati a riflettere. Sempre che sia nel loro interesse.

Diego Barbiani

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