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US Open, Osaka continua la sua protesta: mascherina per ricordare George Floyd

Quinta partita e quinta mascherina diversa per Naomi Osaka al momento del suo ingresso in campo sull’Arthur Ashe per il match di quarti di finale dello US Open contro Shelby Rogers.

La giapponese, ormai resasi parte attiva delle celebrità sportive che stanno manifestando pubblicamente in favore della comunità nera negli Stati Uniti, è scesa in campo con il nome di George Floyd a caratteri cubitali sulla sua mascherina divenuta ora d’obbligo per atleti e membri dello staff.

Floyd, 46 anni, è divenuto famoso a livello mondiale per il tragico video pubblicato sui social a fine maggio di quest anno quando si vede lui schienato a terra e col collo pressato dal ginocchio di Derek Chauvin, poliziotto del distretto di Minneapolis, coperto da altri tre agenti di polizia. La situazione degenerò quando venne chiamato il 911 dal gestore di un negozio lì vicino che era convinto di aver ricevuto una banconota da 20 dollari contraffatta nel momento in cui Floyd comprava un pacchetto di sigarette. Arrivarono i primi poliziotti e uno di loro puntò la pistola contro Floyd, in macchina, intimandogli di uscire per poi arrestarlo. Ci fu un primo momento dove l’afroamericano cadde a terra, poi Chauvin lo prese e cominciò a immobilizzarlo pressandogli il ginocchio sul collo. Rimase così per otto minuti e 46 secondi, divenuti famosi come le frasi “non posso respirare” e “ti prego, amico” di Floyd mentre per la strada sempre più persone si stavano fermando chiedendo di lasciarlo stare e di aiutarlo che ogni minuto che passava stava sempre più perdendo conoscenza.

Solo con l’arrivo dei paramedici Chauvin lasciò il collo di Floyd che, già senza conoscenza, una volta trasportato in ospedale venne dichiarato morto. Da quel gesto è partita un’ondata gigantesca di manifestazioni contro la violenza della polizia USA che ha piano piano toccato ogni città del paese, messo in campo l’esercito e generato proteste a livello globale. I problemi che hanno poi generato scontri violenti furono che nella prima notte dopo l’uccisione di Floyd, a Minneapolis, la polizia prese le parti degli agenti e il presidente Donald Trump attaccò duramente le proteste (fin lì pacifiche) dando l’ordine agli agenti di sedare ogni tentativo di manifestazione con la forza. Inoltre, solo dopo qualche notte di violenti scontri fu deciso per il licenziamento dei 4 agenti coinvolti e, dopo altre proteste, si arrivò all’arresto effettivo e accuse di omicidio di terzo grado, poi cambiato in secondo. All’inizio cercarono di giustificarsi con la tesi che Floyd stesse resistendo all’arresto, ma le telecamere di sorveglianza dei locali nei dintorni smentirono questa tesi. Chauvin, responsabile della morte di Floyd, aveva già una vittima sulla coscienza e diverse segnalazioni di abuso di potere.

Naomi Osaka, ben consapevole che questi gesti non potranno portare a dei cambiamenti immediati, sta cercando di non cancellare dalla memoria delle persone episodi divenuto simbolo della lotta alle ingiustie che la sua comunità sta subendo. Forse Floyd era un contraffattore, forse non aveva la fedina penale pulita, ma non c’è alcuna ragione per cui non avesse diritto a regolare processo e nulla potrà mai giustificare questi episodi.

Diego Barbiani

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