Quella contro Rublev potrebbe essere la sconfitta migliore nella carriera, ancora tutta da giocare, di Matteo Berrettini. E proprio per questo, essere battuto da un tennista praticamente coetaneo (1996 l’azzurro, 1997 il russo), in un match senza fronzoli, magari gli farà capire certe cose. È stata una sconfitta sorprendente? Nel modo, forse, ma non nella sostanza.
È stata una batosta, questo inutile nasconderlo, ma probabilmente è quello che serviva, al tennista romano, per rendersi conto in pieno chi è adesso e di quello che gli serve per poter diventare quello che già oggi crede che Berrettini sia, ovvero uno che in condizioni di normalità sarebbe capace di vincere degli slam. E chiariamo subito: non lo è, attualmente. Se lo sarà in futuro, non ci è dato sapere.
Rublev negli ultimi dodici mesi è riuscito a fare ciò che fino all’inizio dello scorso anno nessuno, o quasi, riteneva in grado fosse di fare: passare da cavallo pazzo a picchiatore vero, completo, a tratti dilagante.
C’erano già stati i segnali, a Cincinnati dello scorso anno, dove sconfisse Federer e poi perse con l’avversario dei quarti di domani, il connazionale Medvedev, ma poi perse, male, proprio contro Matteo allo Us Open. Ora ha imparato la lezione ed è un giocatore migliore, uno che ha sempre dei momenti dove concede qualcosa, ma non perde più la testa, ha messo a posto i suoi già notevolissimi colpi ed è pronto.
Nemmeno lui (forse) è pronto a vincere uno slam, c’è gente più preparata di lui, ma è la dimostrazione come si possano migliorare degli aspetti, prima di tutto mentali. Ovviamente ci vuole del talento di base, ma quello al russo non era mai mancato. Soprattutto, ma ci torneremo dopo, ha tutti i fondamentali a posto. Certo, a rete è pressoché disastroso, ma come ripetiamo da anni, oggi come oggi non è tutto questo gran problema. Altrimenti, Djokovic diciamo che non sarebbe mai diventato n.1, se lo fosse stato, un problema.
Perchè parliamo di fondamentali? Perchè quando si parla di Berrettini si esaltano sempre i pregi e spesso si dimentica di sottolineare le sue pecche, troppo notevoli a quel livello. E parliamo appunto di massimi livelli, i più alti al mondo. Perchè il problema, il punto, è se Matteo sia attrezzato per vincere qualcosa di importante, e da qui parte la disamina.
Nonostante sia migliorato notevolmente, il rovescio è un altro pianeta rispetto al dritto. Non in senso buono. Il che non sarebbe nemmeno un grosso problema, se la differenza non fosse così notevole e dunque estremamente sgamabile per l’avversario. A Rublev, al netto di tutto, è bastato insistere e insistere su quella diagonale. Anche mentalmente, saperlo e comunque doversi difendere costantemente non è una cosa facile.
La mobilità, altro punto dolente, anche lì migliorata e poi Matteo è uno grosso e muscoloso, dunque anche lì si può arrivare fino ad un certo punto. Rimangono il servizio e il dritto, spettacolari, ma non così spettacolari in confronto a molti dei “picchiatori” del circuito moderno, Rublev è un esempio. A rete, però, ad esempio, è molto, molto meglio di tanti altri, anche celebrati. Chiaro che, se come successo contro il russo, il servizio non funziona bene e mancano le energie (forse per un’ora giocata sovraritmo?), il tutto diventa proibitivo.
Matteo ha una bella testa, è uno concentrato ed è un gran lavoratore, non molti possono dire la stessa cosa. Ed è ben voluto, tutti fanno il tifo per lui. Compreso chi scrive. E se leggete queste parole come disfattismo, è esattamente il contrario. Troppo spesso in Italia si tende ad esaltare questo o quel giocatore e non si rado si fa solo del male, soprattutto perchè lo si fa per interessi personali e non perchè lo si pensa veramente. E questo è il peggiore di tutti i mali.
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