Foto di Francesco Panunzio
L’ingresso nella top 150, il relativo best ranking, ma anche il primo quarto di finale ATP.
Chi può lamentare per la forzata interruzione del circuito è certamente Roberto Marcora. Il tennista di Busto Arsizio, classe ’89, sembra aver raggiunto la maturità necessaria per puntare con convinzione all’ingresso nei primi cento. Lo abbiamo intervistato per tracciare un bilancio di questa prima parte di stagione e conoscere qualche segreto sulla sua quarantena.
Roberto, come stai? Dove hai passato il lockdown?
«Ho fatto una quarantena atipica, all’inizio non mi sono davvero reso conto di ciò che stava succedendo. Quando c’è stato il lockdown mi trovavo negli Stati Uniti, sono rimasto lì per un po’ anche perché non mi aspettavo durasse tanto. Ero in California e aspettavo di giocare Indian Wells: il giorno prima hanno cancellato tutto ma Pheonix e Miami erano ancora in dubbio, così con Gaio, Giannessi, Berrettini e Sonego ci siamo fermati quasi una settimana. Quando hanno annunciato lo stop, poi, mi sono trasferito da amici a Miami. Sono arrivato lì il 14 marzo ed era ancora tutto aperto. Fino al 5 aprile sono rimasto in Florida, poi sono tornato a Roma, dove faccio base per gli allenamenti. Ho fatto le mie due settimane di isolamento e infine sono tornato a casa».
Sei riuscito ad allenarti?
«Sono riuscito a giocare fino a fine marzo, poi non ho toccato racchetta per poco più di un mese. Ho ripreso una settimana fa, come tutti i prima e seconda categoria italiani».
Molti tuoi colleghi hanno espresso grande perplessità su una ripresa imminente…
«Impossibile non essere perplessi e preoccupati. L’unica cosa che non capisco sono le parole di Nadal, Djokovic ed altri top pronti a gettare la spugna e a riprendere nel gennaio 2021. È troppo presto per annullare tutta la stagione, magari in autunno si può riprendere nel rispetto di tutte le regole del caso. Si potrebbe decidere di giocare senza pubblico o ball-boys, forse: io sono per riprendere quanto prima ma sempre in sicurezza».
Certo che è dura capirci qualcosa…
«Non ci capiscono niente virologi e capi di governo, figuriamoci l’ATP o la WTA: siamo tutti sulla stessa barca, speriamo di rimanere a galla».
Che idea ti sei fatto di questo fondo in sostegno del circuito minore? Hai letto la polemica emersa dopo le parole di Dominic Thiem?
«Sul fondo penso che sia una buona cosa ma non deve essere obbligatoria. I primi 100 possono aiutare quelli dietro? Perché no, ma che sia una loro scelta. In nessuno sport i top sono tenuti a prendersi cura del circuito minore. Spetta all’ATP assurgere a questo compito. Non sarà mai obbligatorio, comunque, sarebbe un’ingiustizia e molti non lo permetterebbero. Penso ad esempio a Mager, che è nei 100 da pochi mesi e dovrebbe in teoria dare cinquemila o diecimila euro al 600 del mondo. È una cosa che non esiste. Sono abbastanza d’accordo con il discorso che fa Thiem anche se non condivido i modi, specie quando ha parlato di scarso impegno».
Qualcuno ne ha approfittato per chiedere un aiuto concreto da parte dell’ATP.
«L’ATP non è forte abbastanza da prendersi cura dei suoi giocatori? Quello è un altro discorso. Comunque stanno approfittando della pausa per creare fondamenta più solide, in questo senso qualcosa si sta muovendo».
Parliamo di tennis giocato: non male l’inizio di stagione.
«Ho iniziato bene il 2020 con il Challenger di Noumea, anche in Australia ho fatto bene. C’è stato un passo falso a Bangkok ma già dalla preparazione mi stavo accorgendo dei miei progressi fisici e tennistici, anche grazie all’età. Sono più sereno e le cose si stavano allineando nella maniera giusta. A livello tattico ho vinto molti match prendendo più la rete, verticalizzando molto più di quanto non facessi in passato».
Poi il primo quarto di finale ATP, a Pune. Peccato per il match contro Duckworth…
«È stata una grande settimana di cui ricorderò quasi solo cose positive però resta l’amaro in bocca per il quarto di finale. Pensando alla partita contro l’australiano, per come stavo giocando, avrei potuto fare di più: ho giocato male nel primo e non sono riuscito a sfruttare qualche chance avuta nel secondo set. Non ero appagato ma venivo da quattro vittorie difficili, anche in quali avevo superato Filo Baldi e giocare contro un grande amico non è mai facile. Poi Rola, Rosol, Paire. Insomma, ci sta. Resta una grande esperienza, una delle settimane tennistiche più belle della mia vita. Anche il fatto di fare subito finale in Francia la settimana dopo è stato importante, qualche anno fa non ci sarei riuscito, proprio di testa. Questa interruzione è arrivata nel mio momento migliore».
A proposito di Paire: da dove nasce la vostra rivalità?
Ciò che succede in campo resta in campo, chiaro che io e Paire non ci stiamo simpatici e non andremo mai a cena insieme ma non avrei problemi a rigiocare con lui, siamo due professionisti. A livello caratteriale sono uno che non ha paura di andare allo scontro se l’avversario manca di rispetto, in un certo senso mi piace anche che l’atmosfera si faccia frizzante. Certo, non sono mai il primo ad accendere la discussione ma se devo difendermi perché no. Con lui c’è stato qualche attrito, per questo battendolo a Pune ho goduto triplo e mi sono tolto qualche sassolino dalla scarpa (ride, ndr). Cose che fanno parte del gioco.
Capitolo classifiche: quale strada verrà intrapresa?
«Non ti nascondo che per la classifica sono un po’ preoccupato. Chi ha giocato bene a inizio anno, se dovessero riprendere a settembre facendo finta di niente, sarebbe penalizzato, andando in scadenza prima i risultati di gennaio e febbraio 2020 rispetto a quelli ottenuti nel maggio 2019».
Una crescita, la tua, a cui ha certamente contribuito il cambio di racchetta.
«Da quando ho preso in mano la Dunlop ho cominciato quella che è stata un po’ la mia risalita. A dicembre 2018, mentre mi trovavo a Palermo per la preparazione invernale, ho scelto di provare la racchetta. Il problema è che avevo il volo per la Nuova Caledonia a distanza di pochi giorni ed il modello custom tardava ad arrivare: ricordo che la provai in tre o quattro allenamenti immediatamente prima del volo e mi piacque subito. Scelsi di andare con soli due fusti Dunlop e, dopo averne parlato col mio coach, lasciai a casa le mie vecchie racchette per evitare di fare confusione. Cambiando anche le corde, nel giro di qualche mese, ho iniziato a giocare davvero bene sentendola mia: ho guadagnato molta potenza e da febbraio 2019 ho messo in fila una buona serie di risultati. Sono molto felice di far parte della famiglia Dunlop».
Chiosa sulla ripresa: che tennis sarà? Chi uscirà meglio dai blocchi?
«Non ci sarà una categoria ad essere più o meno penalizzata di altre, giovani e meno giovani sono più che mai in una condizione omogenea. Sarà la testa a fare la differenza, più del fisico e del tennis espresso in questi mesi, che pure conteranno ma in misura minore. È impossibile fare una preparazione di sette o otto mesi, per questo sarà importante tenere la concentrazione alta e darsi degli obiettivi precisi».
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