Buon’ultima la Gran Bretagna ha scoperto di non essere immune al Coronavirus, che la pandemia è anche meno sopportabile della Royal Family, che il pacchetto Covid-19 non rientra nei piani della Brexit, e che è giunto il momento del pessimismo cosmico.
A turno gli scienziati britannici si sono esibiti nel sollevamento dell’asticella, spingendosi fino a dipingere scenari terrificanti. Intorno alle 17 di oggi, lunedì 16 marzo, eravamo attestati su previsioni di un anno e mezzo. «Il virus non se ne andrà prima della fine del 2021».
Alle 19 è stata scelta la formula “con noi per sempre”, da cui la necessità di renderlo dormiente. Il virus, ovviamente… Come non si sa. A forza di mazzate sarebbe però soluzione gradita a tutto il mondo. Le ultime news hanno di sicuro spinto il presidente onorario del club, duca di Kent, a dar voce a uno dei suoi formidabili “poffarbacco”. Non ne abbiamo certezza, ma il fatto che a ruota della scoperta del Coronavirus nell’isola, si sia fatta sentire la voce ufficiale dei Championships, precedendo di qualche ora quella della federazione francese, induce a credere che il “poffarbacco” non sia caduto nel vuoto.
Dunque, qual è la voce del torneo più torneo fra tutti i tornei? Moderata, ça va sans dire. Possibilista, ci mancherebbe. Ma la notizia vera è che non scarta affatto l’ipotesi di una cancellazione del torneo. I biglietti verranno subito rimborsati, si dice già nelle prime righe. Stiamo monitorando la situazione, si certifica poco dopo. «Lavoriamo a stretto contatto con le autorità», ci informa la portavoce Eloise Tyson, con un bell’uppercut in grado di stendere tutta la comunità tennistica.
«I preparativi per organizzare il torneo anche quest’anno proseguono, ma dobbiamo agire con responsabilità, nell’interesse di tutta la società. Se il governo ci chiederà di cancellare questa edizione, la nostra assicurazione ci garantirà di poter rimborsare i titolari dei biglietti e dei pacchetti di hospitality». A ruota è giunta la decisione del governo francese, condivisa dalle federazioni, di chiudere tutti i club sportivi del Paese. Gran parte tennistici, s’intende. E fra questi quello del Roland Garros. «Fino a data da destinarsi», è la breve aggiunta che ha evitato l’immediata ufficializzazione della cancellazione dello Slam.
Che però sembra ormai prossima, e visti i ritardi della Francia nel controbattere il violento incalzare del Covid-19, anche abbastanza scontata. Con quali riflessi sul prima e sul dopo della stagione del tennis (quel che resta della stagione…) è facile prevederlo. Uno stop da Parigi, lo Slam che chiude il periodo rosso del calendario, non dovrebbe davvero invogliare i tornei che lo precedono ad andare in onda costi quel che costi. Anche perché quei costi potrebbero risultare davvero molto alti.
Di certo, la rinuncia che farebbe più male, risulterebbe quella di Wimbledon. Al fatto che Parigi si possa giocare, ci credono ormai in pochi. Ma Wimbledon viene un mesetto dopo, e insomma, una speranza in più c’era. Anche per la storia che il torneo si porta dietro. In 140 anni non ha mai chiuso i battenti, se non per motivi bellici. Accadde lo stesso nel 1973, l’anno del boicottaggio di tutti o quasi i migliori tennisti, i Championships reagirono tetragoni allo sberleffo subito, aprendo all’ora stabilita i Doherty Gate.
Si affidarono in gran parte ai tennisti dell’est, ben più condizionati dalle proprie federazioni, e alla fine vinse Kodes, in finale su Metreveli. Non granché, come nomi. Ma pubblico ugualmente da record. Si sa, l’Al England Club non è un impianto antivirus. La circolazione nel vecchio Centre Court, per quanto rimodernato e fornito di tetto, avviene ancora fra cunicoli stretti, e per fendere l’assembramento che si forma fra un campo e l’altro di quelli laterali, nelle giornate di piena, è bene travestirsi da poliziotti. Ma la storia del torneo esortava a considerare i Championships come l’ultimo, insormontabile bastione. Se anche quello dovesse sbriciolarsi, la stagione davvero non avrebbe più senso.
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