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Tutta questione di stile

Bambola per un giorno, un’ora, un minuto, mai

Il paragone con Anna Kournikova durò un istante, non poteva essere altrimenti. Perché se la pigrizia mediatica invoglia a elaborare pensieri immediati, qui la differenza era troppo evidente per non essere sottolineata con una linea definitiva. La bellezza e la nazionalità, certo, ma Maria Sharapova era troppo oltre questo. Si capì subito che non era un talento destinato a sgonfiarsi, come la Kournikova, il cui exploit sportivo fu tanto brillante quanto effimero, e si capì subito che il cervello e la personalità di Maria erano di caratura superiore.

Come già scritto da Diego Barbiani, la Sharapova è stata un’icona del tennis contemporaneo, forse la più grande degli anni Duemila. Perché se è vero che Serena e Venus hanno aperto le porte dell’orgoglio black e dell’identità multietnica, la Sharapova è stata il simbolo universale, la figura conosciuta da tutti, l’incarnazione della donna forte, indipendente. Il punto di riferimento femminista molto prima del MeToo.

Masha si è subito contraddistinta per una visione imprenditoriale del tennis e di ciò che lo circonda, non limitandosi a far sfruttare la propria immagine, ma dettando le proprie condizioni. È stata in fondo l’evoluzione all’ennesima potenza di ciò che fece Chris Evert negli anni ’70.

Nello stesso campo della moda, ha per anni visto le avversarie inseguire le intuizioni estetiche imposte da lei e dalla Nike. Intuizioni che hanno reso i campi da tennis delle vere e proprie passerelle in cui tutti aspettavano lei.

Abbiamo provato a scegliere i migliori abiti di Masha, uno per ogni Slam.

Australian Open 2010, chi ben comincia è a metà della collezione

Diciamo che poteva esserci inizio migliore. La Maria Sharapova Collection ebbe il suo battesimo agli Australian Open 2010, inizio di una nuova fase dell’imprenditrice Masha, ora in tutto e per tutto in prima linea nel controllo della sua immagine. Abbozzato dalla stessa Sharapova, dai colori che richiamavano i campi di Melbourne e abbinato con orecchini Tiffany, il vestito con mantella aveva tutte le carte in tavola per diventare il più ammirato del torneo.

Si vide però solo in una partita, poiché la russa fu eliminata a sorpresa al primo turno dall’altra Maria russa, la Kirilenko.


Roland Garros 2008, una regina non è Madre Teresa

Nonostante il Career Grand Slam e l’indiscutibile ruolo di giocatrice più famosa del pianeta, Masha è stata per poco tempo regina a tutti gli effetti del tennis WTA: ha tenuto il n.1 solo per 21 settimane. Barty e Osaka, per dire, l’hanno già superata. In questa classifica non è neppure la prima russa, dato che Dinara Safina è rimasta in cima alla piramide per 26 settimane.

Proprio contro la connazionale ha subito due delle sconfitte più brucianti in carriera, entrambe al Roland Garros. Nel 2006 disintegrò, nel terzo set, un vantaggio di 5-1 e un match point, finendo per cedere 7-5, e nel 2008 fu poco meno dolorosa.

Erano ancora lontani i tempi in cui Masha si sarebbe scoperta amante della terra battuta. Nel 2008, nonostante la semifinale dell’anno prima, il rosso era ancora considerato a tutti gli effetti la superficie meno efficace per il suo gioco. Però, complice il clamoroso ritiro agonistico dell’allora n.1 Henin, la Sharapova si ritrovò in cima al ranking e top seed del Roland Garros.

Parigi le era ostica non solo per la superficie. Il pubblico non la amava, anzi: l’anno prima la tensione tra lei e gli spettatori culminò nel match contro Patty Schnyder, finito 9-7 per lei nonostante i ripetuti fischi. Agli spalti snob francesi la guerriera urlatrice non piaceva proprio, ma lei non si disperò del fatto, eclissando la questione in conferenza stampa con una frase che a posteriori riassume la sua carriera: “È dura giocare tennis e allo stesso tempo essere Madre Teresa e far felici tutti”.

Nell’ottavo di finale contro la Safina la situazione non fu molto diversa e la partita le stava sfuggendo di mano. Nel secondo set non aveva sfruttato un match point e nel terzo si ritrovò a fronteggiare una palla break, sotto 3-2. Il set (e con esso il match) finì 6-2, ma dopo aver pareggiato quel 30-40 con un dritto vincente, Maria si scagliò contro il pubblico. In maniera non proprio elegante, ma maledettamente efficace.

Se l’episodio non fu proprio materiale di bon ton, l’abito indossato in quell’edizione del Roland Garros fu uno dei più fini della carriera di Masha. Ispirato ai Roaring Twenties, con tanto di bottone di chiusura di perla, il magnifico abito era combinato con degli orecchini Tiffany in oro 18 carati disegnati da Elsa Peretti. Fu l’inizio di una partnership biennale con la famosa azienda.

Wimbledon 2008, il bianco è androgino

“Le donne dovrebbero vestirsi in modo femminile. Magari giocano come gli uomini, ma dovrebbero vestirsi da signore”. Amanda Holden, giudice di Britain’s Got Talent fu vox populi nei confronti di un abito che a distanza di anni continua a essere controverso. Tanto che in un excursus del Mirror di tutti gli abiti indossati a Wimbledon da Masha, quello del 2008 è l’unico ad avere il voto di 1/5. La storia non è stata clemente, avvantaggiata dalla scarsa performance in campo della russa in quel torneo, eliminata al secondo turno dalla connazionale Kudryavtseva.

Un disamore facilmente intuibile, ma che invece rappresenta forse l’abito più simbolico della carriera della Sharapova. Appartenente alla collezione White/Gold della Nike (la stessa indossata da Federer in quegli anni) e omaggio alla tradizione sartoriale londinese, il tuxedo look è tutto ciò che è stato Maria: forte e controversa, elegante e coraggiosa. Gli orecchini Tiffany di quell’occasione furono di diamanti e platino.


US Open 2017, il nero è il lutto degli altri

Gli All Blacks, la nazionale neozelandese di rugby, lo dice sempre: il nero non è per noi, perché il lutto non è il nostro. Indossiamo il lutto altrui.

In due occasioni Maria fece proprie queste parole. Nel 2006, ovviamente, quando vinse gli US Open in finale contro Justine Henin indossando un abito che avrebbe avuto tutto il diritto di stare in questa lista; e nel 2017, quando ottenne una vittoria quasi altrettanto goduriosa.

Gli US Open di quell’anno furono lo Slam di rientro dalla famigerata squalifica per doping e il sorteggio aveva tutto il sapore di ghigliottina: al primo turno, infatti, pescò la n.2 Simona Halep. Un ostacolo apparentemente troppo difficile per una giocatrice ferma da quasi due anni. Con il solito spirito guerriero, Masha invece smentì tutti, vincendo la partita più bella della sua fase finale di carriera.

E il rientro della regina mediatica non poteva che avvenire in grande stile: abito disegnato da Riccardo Tisci (Givenchy, Burberry) e fatto di Swarovski, pizzo ed ecopelle.


Francesca Moscatelli

Cerca di fermare una pallina da tennis con l'obiettivo fotografico. Nel frattempo, la descrive con la tastiera.

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