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Il mondo capovolto

Uno scenario così è molto difficile da immaginare. Partire dall’Italia pensando agli incendi, alle immagini del cielo scuro e color rosso sangue sopra Mallacoota, una sorta di profezia nefasta per quei 4000 sfortunati costretti il 31 dicembre a scappare sulla spiaggia e buttarsi in mare per sfuggire a un incendio devastante che aveva tagliato ogni altra via di fuga, e trovarsi a vivere giorno per giorno con un clima sempre più diverso e a suo modo estremo.

Dovevamo controllare gli incendi e la loro possibile avanzata nel Victoria in direzione di Melbourne, e invece siamo attaccati alle previsioni meteo, ormai curiosi di vedere cosa sta succedendo perché non si sa bene che cosa potrà accadere, a questo punto. Melbourne quest anno è un polo assai strano, e dire che parliamo di una città che aveva sempre racchiuso in sé una particolare strategia di marketing, anche a livello turistico: è la città delle quattro stagioni in un giorno solo, o anche in poche ore.

Quest anno la situazione è indecifrabile. Nessun rischio, ci teniamo a precisarlo, ma l’insieme di condizioni vissute in una decina di giorni fa pensare e collegare il tutto ai continui moniti sul clima attorno al mondo che sta prendendo una deriva sempre più particolare. Lo sbalzo di temperature da 38 gradi a 18 in un’ora non è affatto anomalia, almeno in questo posto così lontano dall’Italia. Melbourne è anche questa, limitandoci a variazioni climatiche nella fascia “accettabile”: la grande vicinanza all’Antartide fa sì che al primo soffio di vento importante la temperatura crolli drasticamente. Ed è estate, dunque l’idea che ci siano dei giorni piuttosto caldi è da tenere in considerazione. Questa successione di eventi però ha dell’incredibile.

A Brisbane, nel Queensland, tutto era più regolare. Girando per la città si sentiva caldo, ma la temperatura giorno per giorno si manteneva tra un minimo di 20 e un massimo di 30 gradi. Durante le passeggiate lungo la via del centro, al mattino come alla sera, c’era un maxi-schermo che almeno nei primi giorni era focalizzato solo sugli incendi con collegamenti di un telegiornale h24 che dava informazioni continue. Fino al 5 gennaio le notizie che arrivavano dallo stato del Victoria descrivevano una situazione veramente difficile, con un nuovo segnale di evacuazione inviato alle zone a est del paese e la gente che non riusciva a scappare perché le macchine non avevano benzina sufficiente e i benzinai erano stati costretti a chiudere dopo quella giornata di fine 2019 che aveva messo in allarme totale l’intero paese.

È passato anche quel fine settimana e, dall’8 gennaio circa, la situazione ha vissuto una fase di crollo nell’attenzione morbosa verso gli incendi. La frequenza calava, le notizie di allarmi rossi ed evacuazioni erano più diradate e quasi assenti. Gli incendi c’erano, e ci sono ancora, ma da allora è arrivata anche l’acqua lungo lo stato di Victoria e Nuovo Galles del Sud. A Melbourne, dopo una potenziale giornata critica il venerdì 10, l’EPA ha annunciato che da lunedì sarebbe cambiata (e molto pesantemente) la qualità dell’aria con l’arrivo della nuova settimana. Lunedì 13, atterrati a Melbourne, siamo stati accolti da un’aria molto inquinata, migliorata un po’ nel pomeriggio prima di crollare verso l’abisso di un pesante valore di 441 all’una del mattino.

Il tennis per questo ha sempre vissuto in momenti di crisi. E proprio in Australia ci furono esibizioni prima dell’Australian Open in raccolta di fondi per il terremoto ad Haiti o le alluvioni nel Queensland di una decina d’anni fa. Questa crisi però è un tassello mai veramente vissuto prima. Pur continuando ad avere giornate “serene” o con condizioni favorevoli a non portare il fumo da queste parti, la successione di eventi in così breve tempo fa pensare. Da quando il fumo è passato l’Australian Open ha vissuto di caldo umido in una giornata da 38 gradi e 80% di umidità poi degenerata in un acquazzone potentissimo che ha scaricato sulla città l’equivalente della pioggia di un mese in meno di un paio d’ore. Poi la parte a est, a un paio di chilometri dall’impianto di Melbourne Park, è stata colpita la scorsa domenica da una tempesta potentissima con chicchi di grandine piovuti dal cielo a spaccare finestre e tetti, precipitando a grande velocità e con diametri anche fino a 7 centimetri. Lunedì neppure il torneo è riuscito a scamparla, con una pioggia insistente e fittissima cominciata verso le 2, segnalata da tutte le agenzie meteo come molto lunga e molto pericolosa per allagamenti e disagi, durata almeno fino a mezzanotte. Ieri, infine, verso sera è cominciata l’ultima piaga di un meteo impazzito: una tempesta d’acqua e terriccio, sporco, che ha ricoperto la città e stamattina l’ha svegliata avvolta nella polvere e in una composizione che, per rendere l’idea, la faceva assomigliare a un campetto di tennis in terra battuta.

In 10 giorni Melbourne ha vissuto ogni possibile cambiamento climatico. È rimasta forse solo la neve, visto che la tempesta di fulmini è arrivata mercoledì scorso.

L’Australian Open si vanta delle condizioni climatiche dell’estate australiana rendendolo un particolare caratteristico del posto e della stagione, ma ha anche fatto tanto per garantire massima sicurezza. Tre stadi col tetto, uno a cui hanno ampliato in maniera importante la copertura (Court 3) e uno che ha in cantiere il progetto di un’altra copertura (1573 Arena). Eppure mai come quest anno il clima qui è all’ordine del giorno, e chiede a tutti di controllare i valori dell’aria come delle possibili piogge o come capire se gli incendi che hanno devastato gran parte della zona est del paese (ora un po’ meno potenti) possono in qualche modo diventare pericolosi. Il torneo, come dicevamo già, andrà avanti. Ma questo non toglie che gli ultimi 10 giorni di Melbourne sono un monito per ricordare che qui i problemi non sono finiti.

Diego Barbiani

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