Quando si alza il vento, all’Australian Open, il tennis non è più lo stesso. Confonde e scombussola, scuote dentro proiettando tutti in una dimensione illusoria, di eccitata agitazione. Non lo cantava anche la Bertè? E non è vero che il vento si concede con spirito paritario, pur essendo fra tutti l’elemento più trasversale che vi sia, per natura e doti fisiche. Aiuta chi lo conosce bene, e ne sa imbrigliare gli effetti parossistici, i refoli maligni, gli improvvisi cambi di scenario. Ma per conoscerlo bene occorre averlo frequentato, incontrato più e più volte, subìto e contrastato.
Sta dalla parte dei più navigati, il vento del tennis, e non dei naviganti, in termini generici. Semplicemente, non è lo stesso per tutti. Se hai 500 partite alle spalle, puoi permetterti di giocare sulle sue spinte, di lasciare che i colpi flottino sulle sue ali. I giovani odiano il vento. Nel tennis è così…
Nemmeno Berrettini ha l’età giusta. «Mai combattuto con un rivale simile», dice mezzo mogio, ma non parla certo di Tennys Sandgren, l’americano che fece impazzire Fognini a Wimbledon, il tennista meno amato dalle colleghe, Serena Williams in testa, perché sui social – tempo fa, ora ha smesso, pare… – scriveva che le donne devono stare in cucina, altro che perdere tempo con una racchetta in mano. Berrettini l’ha capito dopo che il vento era amico di Tennys e nemico del suo tennis, eppure l’ha capito in tempo, tant’è che la partita era riuscito persino a rimetterla in carreggiata, sebbene di tanto in tanto le sue accanite pallate partissero in direzione di Flinders Station, il centro di Melbourne, tre chilometri più in là. Ha recuperato due set, persi per non essersi mai sentito a proprio agio sui colpi che in condizioni normali avrebbero fatto la differenza, ma è tornato a smarrirsi negli ultimi metri della volata, ed è uscito dal torneo con la fastidiosa sensazione di essere stato beffato dal destino, tanto più dopo aver fallito tre palle break (sul 4 pari del quinto) che lo avrebbero spinto in vista del traguardo.
«Speravo in un percorso più lungo, la delusione è grande. Eppure ci sono anche valutazioni meno negative da fare, su tutte quella di aver ridato vita a un match che si era messo subito di traverso. Ma prevale il rimpianto per le occasioni perdute. Mi è capitato spesso di dare il meglio di me dopo una sconfitta, sono convinto che accadrà anche questa volta». Non qui, ma sulla terra rossa sudamericana, anche se Matteo non partirà subito per stare vicino alla bella Ajla (Tomljanovic), eliminata anche lei (dalla Muguruza).
«Premeva di lato», spiega Jannik Sinner raccontando dei suoi affanni, e di come i refoli gli abbiano smontato tutte le certezze che si era fatto su Marton Fucsovics, ventisettenne di Nyiregyhaza, forse la città più ventosa di tutta l’Ungheria. Quando le folate giungono di lato, si va di bolina… Nel tennis a vela è così. Ma cosa volete che ne sappia il giovane Jannik, con i suoi diciotto anni appena, lui che ancora si sta facendo un’idea del circuito e delle sue trappole. Fucsovics è il giocatore più regolare che vi sia, ha buone gambe e lascia volentieri agli avversari il compito di inventare e muovere la partita. Sinner si era preparato per i fuochi d’artificio, palle sulle righe e colpi da sballo. Il vento gliel’ha disinnescati uno a uno. Spinte da forze misteriose le palline si indirizzavano su traiettorie inusitate, a volte troppo corte, quasi sempre oltre le righe. «Non ero a mio agio, solo all’inizio del terzo set ho avuto un break per dare una svolta alla partita, ma era tardi e non è servito a nulla. Di buono c’è che in queste giornate ho conosciuto gli avversari più forti, ho parlato e mi sono allenato con loro, con Roger, Nole, Rafa e anche con Sascha. Era la mia prima volta in Australia, dunque va bene così. Ero qui nei panni del giovane apprendista».
Alla fine, il segreto stava tutto nel giocare a rimpiattino con il vento. Beffarlo. Evitarlo per quanto possibile. Vi è riuscito Fognini, ospite della Court Arena, a tetto chiuso. E da lui ha preso forma l’unica vittoria azzurra della giornata. Sofferta finché si vuole, ritardata fino al tie break del quinto dopo essere stato due set avanti e aver goduto di quattro match point equamente divisi tra il 5-4 e il 6-5 del set finale… Ma importante. L’australiano Thompson gli ha dato battaglia, è risalito dal nulla, ha tenuto desta la partita, ma Fabio ha avuto i colpi migliori, e li ha messi a segno quando il tempo concesso stava per scadere. «Ho una caviglia a pezzi e la pianta dei piedi che mi dà forti dolori», si lamenta. Ma si guarda avanti, l’avversario in terzo turno è Guido Pella, argentino. È avanti 2-1 nei testa a testa, ma poteva andare peggio.
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