Per lui Federer ha raccontato favole. Di quando era un bimbo e Agassi gli nascondeva la palla, la voglia di sparire che avvertiva, lo stimolo in più che da quei sentimenti ha preso corpo.
Capita di sentirsi fuori luogo dopo una sconfitta, occorre reagire in fretta. Matteo, dopo Wimbledon, ha capito. E il gran finale di stagione, con ATP Finals annesse, è nato anche dalle riflessioni dopo la lezione («Grazie, Roger, quanto di devo?») ricevuta negli ottavi.
Nadal ha speso parole preziose. «Berrettini ha già tutto, diventerà un grandissimo giocatore. Anzi, lo è già, e ha tanti anni davanti a sé per migliorare ancora».
Il terzo dei Re Magi, Novak Djokovic, gli ha ceduto uno dei pezzi forti del suo team, Craig O’Shannessy, strategy analist, del quale si era invaghito quando seppe che aveva aiutato Dustin Brown a battere Rafa sull’erba di Wimbledon. Ora è al lavoro per Matteo, con le sue statistiche e gli spunti di strategia che ne ricava.
Settantadue ore all’alba, poi la partenza per le ATP Finals. Da giovedì si ricomincia, con un titolo in più, quello di Maestro. Anzi, Mastro, che ha il sapore del lavoro antico, tutto sofferenza, dedizione, entusiasmo e spirito artistico dei nostri artigiani. Mastro Matteo… Anche lui con la sua natura aitante ed entusiasta, sempre impegnata a ribaltare i momenti negativi in insegnamenti, piombato alla velocità di una cometa nelle sale di un Club che non ci apparteneva più da 41 anni. Il Club dei Maestri, appunto. Matteo è il terzo italiano cui venga accettata l’iscrizione, prima di lui solo Panatta (1975) e Barazzutti (1978). Chissà, magari diventerà il primo italiano a vincere un match nel torneo. Adriano e Corrado non vi riuscirono.
«Appena qualche settimana fa, le ATP Finals erano l’ultimo dei miei pensieri. Non avrei mai pensato di qualificarmi. Ora sono felicissimo. È una grande soddisfazione per me, la mia famiglia e il mio team. Voglio farmi trovare pronto».
«Diciamo che Budapest e Monaco sono stati molto positivi, ho migliorato la classifica (da 54 a 31, ndr), però sono passi avanti che mi aspettavo, sapevo di avere quel livello. A livello emotivo il più importante è stato quello sull’erba. La consapevolezza di poter essere competitivo per tante partite di seguito su una superficie così difficile mi ha dato quella tranquillità e quella convinzione che poi mi sono servite per alzare il livello anche sul cemento, dove facevo più fatica. Poi chiaramente lo US Open, ma quello vale due passi»
«Veramente non lo so. Non ho più una superficie in cui mi esprimo meglio. E credo sia un bene… Direi comunque la terra veloce all’aperto o il cemento all’aperto, perché le mie caratteristiche, le mie rotazioni e le mie variazioni, si esaltano su queste superfici»
«Sono i migliori sette giocatori del mondo, mi vanno bene tutti, sceglietelo voi. L’unica cosa che sento è la voglia di misurarmi contro di loro. E credo di essere pronto a farlo».
«Roger, senza dubbio. Usa tantissime variazioni, fa sempre una giocata diversa, difficile da intuire. Non ti fa capire come fargli male».
«Addirittura ansie? No, nessuna ansia… Rafa ti fa sentire parecchio la sua presenza, con il suo agonismo, ma non è mai ansia, solo tensione di giocare match importanti. E con lui i match sono sempre importanti»
«Si, mi dicono che ci sia molto interesse, nel mondo del tennis e anche in generale. Stando poco in Italia è difficile rendersene conto di persona, ma intuisco che l’interesse sia alto, soprattutto adesso. Questo mi da tantissima energia, non mi mette assolutamente pressione, mi carica».
«I grandi tornei saranno la priorità, ma sono importanti anche i tornei più piccoli. Dobbiamo mettere ancora tanto fieno in cascina, fare ancora tante esperienze su tutti i tipi di tornei. Non voglio mettermi obiettivi per l’inizio dell’anno prossimo, solo continuare a lavorare e a crescere».
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