Una città, dieci anni di contratto, un miliardo di dollari di investimento. Le cifre da capogiro delle WTA Finals di Shenzhen, note fin dalla conferenza stampa durante l’Australian Open del 2018, fanno sempre venire le vertigini. La città cinese, già ospite di un torneo International a inizio stagione gestito da IMG, quindi scollegato completamente da questa organizzazione anche a livello economico, ha voluto strafare.
Nel mercato non esistono regole, lo si vede anche col calcio dove ormai le cifre sono fuori controllo e spesso non si gestisce più una situazione dove si investono milioni e si gonfiano valori per una bolla che, in molti sperano, non scoppi mai e continui a volare. Si rilancia sempre più in alto, arrivando a picchi da far perdere ossigeno a chi guarda a tutto ciò dal basso. La WTA, che è un’azienda e che ogni anno deve fare i suoi conti e gestire i bilanci, ha avuto tra fine 2017 e 2018 una proposta che non poteva essere rifiutata.
Il governo cinese, insieme con la città di Shenzhen, ha giocato altissimo per prendersi un evento che negli anni è cresciuto almeno nell’interesse che la stessa azienda ha voluto riservarci. La WTA, infatti, anche solo verso i media ha aumentato negli ultimi anni a dismisura gli eventi extra campo con tante leggende, ex giocatrici, chiamate a raccolta come testimonial, cercando di mostrarsi da una parte più unita e dall’altra di dare un senso di continuità con una scelta che loro stessi sanno essere rischiosa, perché il mercato orientale è un po’ una scommessa, soprattutto con uno sport che non ha mai veramente fatto presa se non con incentivi importanti (leggasi la figura di Na Li e Naomi Osaka, ma ci arriveremo poi). Però loro, i cinesi, hanno la possibilità di proporre idee e una disponibilità economica che nessun altro posto è disposto anche solo ad avvicinare. Città come Praga, o Manchester, candidate anche loro, sarebbero state più che felici di avere un evento che adesso in particolare può rinascere e tornare ai livelli anche solo di 8 anni fa. Eppure a quelle cifre non hanno potuto fare granché se non accettare il fatto che il bando non sarebbe stato affare loro.
Tolta la figura di Serena Williams, le Finals hanno comunque proposto grandi nomi in serie almeno fino al 2014/2015. Gli ultimi anni, malgrado poi le protagoniste siano state di primo ordine, il livello di appeal era stato un po’ inferiore. Nel 2018 però a Singapore, forse perché città-stato e scollegata dalla Cina, si è avuta un’impennata clamorosa: dei 420.000 biglietti venduti in 5 anni, secondo i dati ufficiali, solo lo scorso anno ne vendettero più di 200.000 (facile immaginare che molti altri furono staccati nel 2014, per la prima edizione, con Serena, Agnieszka Radwanska, Maria Sharapova, Caroline Wozniacki e Ana Ivanovic, volti copertina in tante situazioni). Cosa cambiò lo scorso anno? La presenza di Osaka, che da sola aveva portato almeno metà sala stampa tutta in orbita Giappone e le giornate dove era in campo c’era il tutto esaurito sugli spalti, con una partecipazione enorme del pubblico. Forse in Cina non ci sarà la stessa attenzione verso una giapponese, ma è anche vero che Shenzhen è forse una delle località più moderne della nazione e chissà dunque cosa succederà. Wuhan, altra località cinese arrivata dal nulla nella geografia tennistica nel 2014, aveva pianificato tutto per Na Li, la miglior tennista cinese fino a ora esistita, che è nata nella megalopoli ma che non ha mai potuto giocare in quel torneo. La grande sfortuna, per loro, è stato vedere Li annunciare il ritiro a pochi giorni dall’inaugurazione dell’evento, con il campo centrale che per prima cosa ha fatto da teatro alla sua cerimonia d’addio. Non il massimo, per usare un eufemismo, verso un impianto che doveva essere destinato a ben altri numeri invece di grandi stenti di pubblico fino al 2017, con un campo centrale da 15.000 posti riempito fino all’ultimo posto solo negli ultimi due anni tra gli exploit di Qiang Wang e per la finale 2019 tra Aryna Sabalenka e Alison Riske, più uno secondario da oltre 5.000 posti.
Inoltre, si devono anche aggiungere i fattori non positivi alla vigilia di questo evento. Shenzhen è purtroppo coinvolta piuttosto da vicino nel caos di Hong Kong. Le due città sono confinanti, e non è molto semplice fare avanti e indietro, perché ci sono controlli sia in entrata che in uscita dai rispettivi paesi e molto selettivi, soprattutto in questo periodo storico dove a Hong Kong ogni fine settimana da ormai inizio estate si susseguono feroci scontri tra manifestanti e la polizia. I problemi sono nati quando il parlamento locale aveva deciso per un disegno di legge che avrebbe consentito l’estradizione di persone da Hong Kong per essere processate in Cina: il diffuso timore del popolo era che questa legislazione venisse utilizzata con intenti repressivi, andando a infrangere i diritti civili e dunque lo stesso regime speciale di “un Paese, due sistemi” su cui si basa l’autonomia dell’ex città-stato (che Pechino si è impegnata a rispettare).
Il popolo sta sfruttando quell’appiglio per provare a cambiare la situazione pretendendo le dimissioni del chief executive Carrie Lam, il rilascio dei manifestanti e la caduta delle accuse che col tempo è divenuto anche un moto per una richiesta di maggiore democrazia, il tutto col terrore però che dalla vicina Cina il governo di Xi Jinping possa decidere di intervenire con i carroarmati per sedare il tutto aprendo una nuova crisi umanitaria. E proprio Shenzhen ha un ruolo strategico per la sua posizione a “chiudere” ogni via terrena di uscita da Hong Kong. Così, i cingolati sono stati per lungo tempo parcheggiati proprio alla Sport Bay Arena, dove domenica comincerà l’ultimo appuntamento del 2019 WTA. E non sarà neppure lo stadio definitivo: nel programma del governo cinese, infatti, si citava uno stadio ex-novo da 14.000 posti dal costo complessivo di 450 milioni di dollari. Il tutto per un evento dal montepremi record per una qualsiasi manifestazione sportiva al femminile mai disputata fin qui: 14 milioni di dollari, 140 milioni in 10 anni.
IL PARCO GIOCATRICI PROMETTE BENE, IL CAMPO SAPRÀ AIUTARE LO SPETTACOLO?
Ashleigh Barty, Karolina Pliskova, Naomi Osaka, Simona Halep, Bianca Andreescu, Petra Kvitova, Belinda Bencic, Elina Svitolina. Una di loro il 3 novembre vincerà la prima edizione delle WTA Finals in salsa cinese, intascando un premio di oltre 4 milioni di dollari. Tre di loro sono all’esordio assoluto: Barty, Andreescu, Bencic. Una di loro è alla seconda partecipazione: Osaka. La canadese è la più giovane a qualificarsi, con appena 19 anni, da Caroline Wozniacki nel 2009. L’età media delle otto è di 24 anni e spiccioli, la più giovane dal 2011, la quinta più giovane da quando nel 2003 venne introdotto il format del Round Robin.
Sarà questo, probabilmente, il luogo che deciderà chi sarà la giocatrice dell’anno. Le nominations arriveranno a breve, ma i tre nomi più forti sono già chiari: Osaka, Barty, Andreescu. Simbolo di una WTA che sta cambiando rapidamente pelle, al termine di una stagione che vedrà solo Julia Goerges come campionessa nata negli anni 80 (ad Auckland) su addirittura 58 tornei disputati, la vincitrice avrà 23 anni o meno. Osaka, Barty o Andreescu. Due di loro si sono alternate in tutto il 2019 ai vertici della classifica. La giapponese per 25 settimane, l’australiana attualmente per 13 ma il dato è destinato ad arrivare almeno alle 20 settimane. Le basterà infatti scendere in campo in tutte e tre le partite per garantirsi i 375 punti che le daranno il numero 1 di fine stagione, dunque 10 settimane totali in testa alla classifica prima dell’inizio dell’anno nuovo. Arriverà almeno a 23, con molta probabilità.
Tutte e tre campionesse Slam, campionesse a livello Premier Mandatory, campionesse di tre tornei nel corso del 2019. Al momento, occupano tre dei primi quattro posti nel ranking, con l’australiana davanti di oltre 1000 punti grazie a una grande costanza di risultati nel corso di tutti i mesi dell’anno. Eppure, nei numeri e nelle statistiche sono tutte molto vicine tra loro, con la quarta under-23 che è Bencic che può giocare su un fattore simbolico: nel corso della storia del Round Robin, qualificarsi come una delle ultime ha sempre portato fortuna anche grazie al ritmo rimasto nelle gambe di dover essere costantemente in campo anche nelle ultime settimane alla ricerca di punti quando le altre, più rilassate, avevano già staccato la spina. Lo scorso anno, addirittura, si qualificarono alle semifinali la numero 5, 6, 7 e 8 del torneo. La svizzera, numero 7 del tabellone, ha avuto un rendimento molto buono in stagione contro le big anche se qualche macchia è rimasta. Tra le sconfitte più dolorose, la semifinale dello US Open contro Andreescu dove era stata avanti per quasi la totalità dei due set, perdendo poi sempre nello strappo finale. Però dalla sua parte ha anche lei due trofei, raccolti tra Dubai e Mosca. Il primo soprattutto, un presitigioso successo in un Premier 5 battendo quattro top-10 in successione, tre di queste presenti ora a Shenzhen: Petra Kvitova, Simona Halep ed Elina Svitolina.
Partendo subito da una constatazione comunque a tutte loro: ci sono incognite sulle reali condizioni fisiche. Non è solo una questione di essere a fine stagione, perché ora gli acciacchi sono comuni a tutte, ma per loro tre l’avvicinamento a questo torneo ha visto tanti motivi di fastidio. La ceca ha perso gran parte dello smalto con lo strappo al muscolo sinistro avvenuto al Roland Garros. Tanto tempo ferma, poche partite giocate da lì in avanti, poca continuità, poca brillantezza. Ancora adesso, alla stampa locale, raccontava che in alcune giornate può sentire dolore mentre in altre meno pur notando miglioramenti. La rumena, invece, è alle prese coi soliti problemi di fine anno. Per dare un’idea di quanto debba chiedere al proprio fisico per fare stagioni così continue dal punto di vista del rendimento, Halep quando supera lo US Open ha un crollo importante nelle prestazioni. Nel 2014 ha raggiunto la finale al Master di Singapore, da lì in avanti o non ha partecipato o non ha passato i gironi. Nel 2015 venne eliminata nel Round Robin perdendo lo spareggio contro Radwanska dopo aver sofferto per il tendine d’Achille. Nel 2016 venne eliminata dopo aver perso lo spareggio contro Dominika Cibulkova e aver sofferto per un ginocchio che la faceva zoppicare vistosamente nel post partita. Nel 2017 perse lo spareggio contro Elina Svitolina dopo aver giocato un brutto Master e aver sentito problemi di schiena. Lo scorso anno neppure ha giocato per un’ernia del disco, quest anno già a Wuhan si è nuovamente dovuta fermare per problemi alla schiena giocando poco (e male) a Pechino. Infine l’ucraina, campionessa in carica, la prima a qualificarsi a un Master senza neppure raggiungere una finale dal 1980. È stata costante abbastanza da fare tanti punti con piazzamenti tra quarti e semifinali, soprattutto Slam con Australian Open, Wimbledon e US Open che da soli le sono valsi più di 2000 punti dei 3995 totali. Però, non avendo alcuna certezza di essere alle Finals, dopo New York ha dovuto essere in campo praticamente ogni settimana malgrado un ginocchio che chiedeva pietà dalla partita contro Serena Williams. Ha faticato tantissimo, sforzandosi ben oltre il limite e trascinando evidenti problemi nello stesso punto di un infortunio abbastanza serio nella prima metà del 2019, ma alla fine ha potuto staccare il pass. Difenderà il suo titolo finché potrà, ma che ruolo potrà giocare?
Sarà importante, da questo punto di vista, capire che campo le giocatrici si troveranno a calcare. Per gran parte dei suoi 5 anni, Singapore è stato spesso definito “colla”. Nel 2017 Martina Navratilova criticò aspramente la velocità della superficie, lo scorso anno si è assistito a un torneo estremamente equilibrato anche perché gli scambi erano talvolta delle fatiche fisiche impressionanti e il punto non era mai concluso perché dava tutto il tempo alle avversarie di preparasi a ricevere una pallata con grande agio. Era quasi impossibile attuare scambi rapidi, impostare partite con tattiche su pochi colpi e pur aprendo angoli a destra e a sinistra comunque l’avversaria riusciva ad arrivare. Si annullavano, così, i punti di forza di molte di loro come Osaka e Kvitova, mentre si esaltavano le qualità di altre come Svitolina e Sloane Stephens, giunte in finale perché eccellenti giocatrici in fase di copertura e di “ricevere” (per non dire “subire”) il gioco dell’avversaria per sfruttarlo a proprio favore. Se la situazione sarà ancora così, molte delle nostre previsioni potrebbero essere stravolte. Karolina Pliskova, ultima giocatrice rimasta da nominare, è tra quelle che alla fine potrebbe comunque adattarsi piuttosto bene. Già lo scorso anno, e nel 2017, arrivò in semifinale sfruttando una superficie che in teoria non dovrebbe fare il suo gioco, e invece probabilmente la lentezza del campo le dava modo di leggere meglio la palla e poter trovare il giusto impatto. Nel 2017 diede grande filo da torcere poi alla futura campionessa Wozniacki, mentre lo scorso anno batté proprio la danese ai gironi e perse in semifinale contro Stephens dopo una partita rocambolesca in cui era avanti 6-0 2-0 e 40-0 prima di finire le energie e trovarsi sempre più indietro nello scambio e perdere completamente il controllo della situazione.
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