Mai come in questo Slam, nella sua carriera, Matteo Berrettini è stato atteso, aspettato, ricoperto di pressioni.
Ha le spalle larghe, una testa pensante e una serenità innata, però è umano e l’esperienza sta ancora acquisendola; oltretutto, invece di Albot, ha dovuto affrontare Bedene, che è uno che sui prati è abbastanza a suo agio.
Anche Matteo, che dopo la vittoria a Stoccarda e la semifinale ad Halle è arrivato qui con una convinzione diversa rispetto allo scorso anno, nel quale già aveva fatto vedere cose promettenti.
Quasi un’ora di confusione, un’ora in cui Berrettini dice di essersi dovuto adattare all’erba, molto diversa da quella dei campi di allenamento, che è più veloce:
“Ad Halle e a Stoccarda la palla viaggiava di più, qui il gioco d’attacco paga ma devi conquistarti bene lo spazio”.
Anche molta pressione: vuole tutto e subito, lo ammette, è un suo difetto che lo porta ad essere raramente soddisfatto dei risultati che raggiunge. Ci sta lavorando insieme al mental coach e a Vincenzo Santopadre, sulla pazienza e sul tempo necessario per godersi i successi e quei passi avanti che fin qui sono stati passi da gigante.
Quello che colpisce di Matteo Berrettini è quel modo di pensare profondo, analitico e critico, proprio di chi ha consapevolezza di sé e del mondo circostante: “Le cose sono certamente cambiate, dopo questa conferenza ho tante tv e giornali che vogliono intervistarmi compresa L’Equipe, alcune cose possono scombussolarti ma non voglio farlo, voglio rimanere concentrato, ambizioso”.
Adesso c’è Baghdatis, che saluta proprio qui a SW19, su una superficie che ama, con il bagaglio tecnico che ha sempre posseduto, probabilmente il pubblico a favore del cipriota e quasi certamente su uno show court.
Un’ennesima prova per Berrettini che deve dimostrare, prima di tutto a se stesso, di avere compiuto altri passi su un percorso che ora si fa molto più ripido.
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