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Hanno ammazzato Wimbledon ma Wimbledon è vivo (?)

Hanno ammazzato Wimbledon, ma Wimbledon è vivo, direbbe il divin Francesco da Roma. No, scusate, perché, Wimbledon è morto? Ah, da fuori mica si direbbe. Mai così visitato, mai così visto, record di incassi, panna e fragole in abbondanza, la Queue che ormai per vedere una partita il sabato ti devi mettere in coda tipo il mercoledì. Tutto molto, molto bello. Come no.

E allora dove sta il punto? Il punto sta in quello che dovrebbe contare veramente, in questo circo di folli, anche se folli alla maniera di Amleto (perchè c’è probabilmente molta logica in questa follia): Wimbledon è passato dalla sua unicità al diventare esattamente come il 90% degli altri tornei.

Non al di fuori, ci mancherebbe: in quello è e rimarrà sempre unico, sarà sempre il più importante torneo del mondo e una macchina da soldi, tutto bello pulito e dove tutto funziona e tanto caruccio la SW19, Church Road, il cancello, il Centrale, il tie break sul 12-12 del quinto e paraponzipopò, ma probabilmente in cambio di tutto questo (o meglio, per aumentare tutto questo), gli hanno semplicemente ammazzato l’anima.

Probabilmente sono discorsi anacronistici e da vecchio tifoso (anche se chi vi scrive non ha ancora raggiungo manco i 40 anni), ma spiacente, quando vedo 30, 35, 40 colpi consecutivi a punto sull’erba dei Championships, mi viene più o meno da ridere, per non dire di peggio. Quando vedo robe che forse sullo Chatrier, davvero…

Quando si dà un’occhiata al tabellone e ci si accorge che ci sono (quasi) più terraioli che a Parigi, al terzo turno, quando vedi che adesso si può recuperare su un colpo quasi scivolando come sul rosso, il vecchio tifoso, magari noioso e assolutamente conscio di fare discorsi triti e ritriti, non ci sta.

E come non ci sta il vecchio nostalgico tifoso rompimaroni, non ci dovrebbero per logico stare nemmeno gli addetti ai lavori e men che meno i giocatori. Perché si, sulla “terba”, sull’erba praticamente inesistente e lenta da fare schifo, si sono dette delle parole più o meno forti, ma la cosa è nata e morta lì.

Perché? Semplice: sono tutti, chi più chi meno, ricoperti di soldi. Wimbledon è arrivato ad un punto che con ogni probabilità è diventato più grande del tennis stesso, degli stessi giocatori e degli addetti ai lavori, tale è il suo potere mediatico ed economico. Quindi, quando qualcuno dice due tre cosette, viene accolto con dei risolini e la cosa finisce lì.

Federer, che pure ormai dovrebbe pure fregarsene un pò di tutto in generale (anche se ha talmente tanti affari e connessioni, e quindi soldi, in questo mondo che sarà sicuramente facile), invece di dire a chiare lettere che questo non è più un Wimbledon che rispetta la tradizioni nei campi, si lascia scappare qualcosa (“di sicuro la superficie è lentissima”) per poi però aggiungere “ma forse è una mia impressione”. Idem con le palline: “Sono molto lente quando non fa molto caldo e qui in Inghilterra non succede spesso, ma va bene così”. Chi le ha toccate ne parla come se avessero fatto una cura ormonali: grosse e gonfie da non credere.

Dunque, quello che alla luce dei fatti è il più penalizzato di tutti dalla “terba” e da questo incredibile rallentamento, non dice nulla o quasi. Berrettini ha letteralmente detto che nel primo set di questo Wimbledon, infatti perso, non ci ha capito una mazza perché era abituato ad Halle, dove l’erba è ancora quella vera: “Aspettavo che la palla arrivasse subito ma invece la palla sembrava non arrivare mai, mi sono dovuto riabituare”, ha detto il romano.

Quello più duro di tutti è stato Milos Raonic, che in questi campi ha pur sempre fatto una finale e una semifinale: “Lo hanno fatto apposta a rallentare i campi anche rispetto agli anni passati, e nessuno si sta opponendo, è incredibile”. Sven Groeneveld, attuale coach di Stephens ed ex di Sharapova, ha ripreso il tweet e ha commentato così: “Sono d’accordo al 100% ! Qualcuno può spiegare le ragioni di questo (e anche delle palle così lente)?”.

Purtroppo però sono “solo” Raonic e Groneveld, rimarranno voci non sentite da nessuno, parole perse tra panne e fragole, file e file di giorni e montagne di soldi. Tanto “Noi siamo Wimbledon, e voi siete nessuno”.

Luigi Ansaloni

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Luigi Ansaloni
Tags: Wimbledon

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