Non c’è rimedio al cuore che batte. Ti sconquassa da dentro e bussa, sempre di più e sempre più forte. Sembra quasi chiedere che qualcuno gli apra la porta, per andarsene via da quel corpo che s’è fatto troppo piccolo e non riesce più a contenerlo. Succede, anche ai migliori. Anche a Berrettini, che è giovane, e nel gruppo dei migliori ci sta arrivando, ma è esposto alle pulsioni forti, alle emozioni che vanno in circolo e che ancora non conosce. Così come non conosceva il Centre Court e la sua magia.
Così come non aveva mai giocato contro Federer, che è un mago grande, uno che sa combinare infiniti effetti speciali. E allora tutto va fuori registro, tutto esce dalle giuste proporzioni. Il magico Centro Court diventa enorme, il mago Federer anche di più, e il batticuore che ti porti dentro rulla a più non posso. Solo lui, Matteo, in mezzo a tutto quel tramestio, deve essersi sentito piccolo e inadeguato, e non c’era niente che potesse rimetterlo in carreggiata, niente che potesse consolarlo e restituirlo al match.
Settantaquattro minuti in tutto, il primo set non più lungo di un caffè bevuto di corsa al bar prima di andare in ufficio. Si racconta che anche Fognini alla prima prova contro Federer sia durato lo stesso tempo, 74 minuti. Si tratta di capire quanto costa la lezione. Berrettini gli ha stretto la mano e glielo ha chiesto. Federer ha risposto con un sorriso. Ma la lezione un suo valore ce l’ha.
Forse quella di aver fatto scoprire il lato emotivo di Matteo, che in molti vedevano come un tipo tutto d’un pezzo. Non lui, a dire il vero, che ha sempre ammesso di subire le mutevoli, sussultanti variazioni del suo stato d’animo, e come più volte anche nel recente passato sia stato costretto a farci i conti. Ma alla fine si è sempre ripreso, persino in breve, e senza subire conseguenze. Stavolta il batticuore ha fatto breccia per le condizioni particolari in cui si è trovato. Finiti fuori traccia i primi colpi tentati, Matteo si è come bloccato, irretito non soltanto dalla bravura di Federer, ma dalla stessa angoscia di essere in procinto di rimediare una figuraccia.
Ha provato a ribaltare la situazione, e ha infilato altri errori che non sono da lui e non fanno parte del suo repertorio. E poi, se n’è accorto lui stesso, seppure nello stato gelatinoso in cui percepiva le sensazioni, Federer ha giocato bene, forse anche più che bene. «Sentivo molto la palla, e ho cercato di fare quelle due o tre cose che mi sembrava mettessero Berrettini maggiormente in difficoltà. Sono stato bravo a individuarle in fretta, e ho sempre avuto ben chiaro il tracciato della partita che dovevo giocare». Ha una parola buona per Matteo, Roger, cuore d’oro.
«Ricordo un mio match agli Us Open, contro Agassi. Ero giovane e un po’ sprovveduto, questo è vero, ma scesi in campo con la convinzione di spaccare il mondo, e lui non mi fece toccare palla. Ricordo la frustrazione che provavo, grandissima, e anche quel po’ di vergogna che ti afferra lo stomaco e non ti fa capire più niente. Non deve preoccuparsi Berrettini. Ci siamo passati tutti». Insomma, anche Federer un tempo, molti anni fa, era umano. Oggi, chissà…
Il primo set è volato via, lì Berrettini non è davvero riuscito ad arginare il tennis di Federer. Meglio nel secondo, del quale però si ricordano due occasioni gettate al vento dal nostro, entrambe nel modo più terribile: la prima su uno smash comodo, tirato a tutto braccio due metri di lato, l’altra su una demi volée giocata un po’ distrattamente da Federer, che si è trasformata in una palla innocua a metà campo, sulla quale Matteo si è avventato con il suo colpo migliore, il dritto, schiantandola a due passi dalla tribuna. Nel terzo set, la prima e unica palla break per il Beretta, subito disinnescata da Roger, già avanti di un break.
Tutta qui la cronaca. Resta la bella avventura erbivora vissuta da Matteo in queste ultime quattro settimane. La vittoria a Stoccarda, la semifinale ad Halle, infine gli ottavi ai Championships con il salto nella seconda settimana del torneo, quella riservata ai più forti. Il primo vero erbivoro italiano… Resta la promozione in classifica, numero venti prima di Wimbledon, dal prossimo lunedì forse numero diciannove. Resta infine, una profezia buttata lì da John McEnroe, al termine della sua telecronaca del match. «Non valutate il ragazzo italiano dalla prova di oggi, lasciate che faccia le sue esperienze. Ha colpi, gioco, ci sa fare. Sbaglierò, ma sono pronto a scommettere che Berrettini alla fine di questa stagione sarà già nella Top Ten. Nei tornei sul cemento, in America e in Asia, potrà fare molto bene, proprio come ha fatto sull’erba».
E se McEnroe è pronto a scommettere sul Beretta, chi siamo noi per dargli torto?
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