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È questo quello che chiamano futuro?

A Madrid, finalmente, si è visto del bel tennis. Soprattutto molto equilibrato con tutti i cosiddetti big a giocarsi i piazzamenti migliori nel 1000 spagnolo. Ovviamente non è detto che i migliori giochino un tennis migliore. Di solito accade ma non è legge.
A Madrid però legge lo è stata. Avvantaggiata anche dal ritorno di Roger Federer. Lo svizzero, competitivo o meno sulla terra, regala sempre il quid in più a qualsiasi competizione. Non ha nemmeno deluso perché il match con Monfils è stato combattuto ed emozionante e altrettanto lo è stato con Thiem. Lo svizzero potrà non essere più nel fiore degli anni ma fa ancora le fortune del movimento, dei tornei e dei media. Vedesi Roma che con un gesto di gran classe ha raddoppiato i biglietti nella giornata del suo esordio (mercoledì, pare). Federer si è presentato anche in buona forma atletica anche se il Roland Garros resta una vera incognita perché con un sorteggio sfortunato c’è anche il rischio di non vederlo nella seconda settimana. Insomma fin quando regge il ritmo ancora non ce n’è per molti (compreso Thiem) ma dover fare sempre la partita perfetta è un rischio che nemmeno il semidio svizzero può permettersi. Giocare sull’uno/due, si è visto con Thiem, è persino fattibile ma, come detto, deve girare tutto bene. Roger poteva chiudere in due e volare in semi ma la caparbietà, e chiaramente le doti, dell’austriaco hanno fatto girare la partita.
Ma Madrid non è stata solo Roger Federer. Ci mancherebbe. A partire dalle così dette new entry. Thiem dopo lo scettro di Barcellona, e soprattutto il primo 1000 della carriera a Miami, conferma la continuità. L’austriaco si è permesso il lusso di battere Nadal già quattro volte su terra quindi qualcosa vorrà dire. Inoltre ha messo un freno al lecito entusiasmo di Fognini battendolo in un match tutt’altro che semplice. Lo stesso Fognini lo rimandiamo a Roma, e soprattutto a Parigi. Però, Fabio, facciamo che non ti senti già Borg e ci fai divertire ancora?
Si riaffaccia persino Wawrinka, nonostante la stesa Nadaliana. Lo fa, anche se in questo caso non basta, anche Zverev. Il tedesco pare abbia vinto il Master di Londra un lustro fa. Oggi è impalpabile e cosa più importante in crisi nerissima. Prima di Madrid il suo score recitava 13-8 e il miglior risultato era la finale di Acapulco persa contro Kyrgios (a proposito qualcuno ha sue notizie?). Chiaramente i quarti di Madrid non bastano. Lo sappiamo tutti. Vediamo Roma che per prima lo fece grande.
Prima dei finalisti il grande, gigantesco, punto interrogativo pende sulla testa di Rafael Nadal. È fuori forma? Pare di no. E allora perché non vince come del resto fa da più di dieci anni? Forse le cose son cambiate anche nella sua testa perché una semi come quella contro il greco non l’avrebbe persa mai, con il “mai” sottolineato cento volte. Era dal 2015 che Rafa mancava una vittoria tra Montercarlo, Barcellona e Madrid. Lo stesso Rafa ha ammesso di non aver giocato al suo meglio. Si vede, eh. Anche lui rimandato ai prossimi appuntamenti. Certo è che lo spagnolo è quello che più di tutti ha da perdere.
L’ultimo capitolo sui finalisti. Prima Tsistipas: il greco sognava il primo grande successo dopo aver battuto per la prima volta Nadal in carriera. Con la vittoria sul maiorchino inoltre è arrivato il tris contro gli ormai (?) fab three. Buon palmares ma ricordiamoci che a qualcuno nato dalle parti di Camberra l’impresa è riuscita al primo colpo. Ciò comunque non toglie i grandi meriti di questo ragazzo a tratti uscito dagli anni ottanta. Inoltre il suo gioco a tutto campo, senza dover per forza abusare del fatto che giochi il rovescio a una mano, è una gioia ai tempi dei regolaristi da fondo.
Per chiudere ci rimandiamo al titolo: è questo il futuro? Difficile dirlo dopo aver visto Djokovic vincere l’ennessimo trofeo di una fantastica carriera. Però, quantomeno, se non possiamo chiamarlo futuro possiamo chiamarlo presente. E non è poi tanto male, almeno quello visto a Madrid.

Enrico Serrapede

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Enrico Serrapede
Tags: Masters 1000

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