Lucie, mentre guardavo la partita pensavo a come potessi sentirti in questo momento, dopo tanti mesi fuori e ora che sei così vicina al ritiro.
Piuttosto bene, devo dire. Sapendo che avrei potuto essere chiamata nel team di Fed Cup ho cominciato gli allenamenti circa un mese fa, forse anche un po’ prima. Ho avuto una bella settimana trascorsa con le altre ragazze della squadra, ero triste e felice allo stesso tempo. Martedì qui è stata una bella partita, un po’ difficile da affrontare, ma Nastia (Anastasia Pavlyuchenkova, nda) è da sempre una mia grande amica e sono molto contenta di poter essere qui con lei, di aver ricevuto una wild-card e di poter poi giocare un altro match prima di Praga.
Come è stata la decisione di giocare con Pavlyuchenkova?
Siamo in contatto molto molto spesso, però in questo caso sono stata io a chiederglielo perché sapevo che lei sarebbe arrivata qui per giocare dopo la Fed Cup. Io ho cominciato a giocare il doppio con lei, anni fa, e mi sono detta che volevo fare un ultimo torneo al suo fianco.
La tua mente in questi giorni che cosa suggerisce?
Sono veramente felice. È molto bello rivedere tutti quanti, di poter giocare. Ho scelto solo i tornei che volevo veramente fare. La passerella d’addio in Fed Cup è stata molto emozionante, ora questa settimana, poi Praga, forse Parigi… Sarà sicuramente bello, emozionante, e cercherò di godermeli il più possibile.
Hai già pensato a quale potrebbe essere il tuo futuro dopo l’addio al tennis?
Onestamente voglio solo staccarmi dal tennis per un po’. Ho dedicato tutta la mia vita a questo sport, ora mi piacerebbe dedicarmi ad altro, anche se sono sicura che poi tornerò qui e mi occuperò di tennis, in qualche modo. Mi è stato chiesto di aiutare qualche giovane connazionale, forse questo sarà un ruolo di cui mi occuperò a Brno. La mia famiglia è parte di un circolo tennis dunque forse organizzeremo qualcosa di grande anche lì. Vediamo, al momento davvero non voglio prendere decisioni affrettate. Ho lavorato tanto fino a ora, adesso è il tempo di un po’ di riposo.
Ripensando alla tua carriera, quale pensi sia stata la cosa migliore che il tennis ti abbia dato sia come persona che, ovviamente, come atleta?
Wow, mi ha dato tantissimo. Non so se sarei in grado di scegliere qualcosa di particolare. Già quando sei piccolo, questo sport ti insegna la disciplina e il duro lavoro per raggiungere il massimo del tuo potenziale. Ti insegna che la competizione è altissima ma non devi mai mollare. Non puoi fare cose che magari da teenager vorresti, ma ci sono anche ricordi ed emozioni che non puoi avere fuori dal campo. L’emozione di vincere delle partite, ma anche di vincere tornei Slam, medaglie olimpiche, sono tutte emozioni molto speciali, da privilegiati. Sono molto felice di aver vissuto questa carriera, aver vinto la Fed Cup con la mia squadra, la medaglia olimpica per il mio paese, i titoli Slam per me stessa. È stata una carriera straordinaria, sono veramente felice di questo.
Si può comparare vincere uno Slam al vincere una medaglia olimpica?
No, penso proprio di no. Sono situazioni veramente differenti, perché il contesto olimpico è qualcosa di unico e speciale. Per me, almeno come importanza, vorrei metterli sullo stesso livello perché ho sentito quei successi e li ho festeggiati nello stesso modo.
Pensi, a questo punto della carriera, che guardando al futuro potrai rivedere le tue caratteristiche, una tua eredità, in qualche giocatrice? Forse voi non ci fate caso, ma a noi piace osservare certi particolari e cerchiamo di dare risposte ai misteri più irrisolti della storia, uno di questi è: come fate voi cechi a produrre sempre così tanti campioni.
No è vero (ride, nda), so che stavi anche esagerando coi toni ma anche adesso nella squadra di Fed Cup anche se non ci sono le più forti ci sono ragazze che sanno giocare veramente bene. C’è una nuova generazione che sta crescendo tanto, sono forti e giocano molto bene. Penso anzitutto che lo sport sia molto popolare in Repubblica Ceca, probabilmente noi abbiamo dato un esempio chiaro e le giovani ora ci vedono e vogliono imitarci, cominciando a lavorare duramente e fare di tutto per arrivarci.
Lavorare nel players council deve averti dato un po’ l’idea di quella che è non solo la vostra prospettiva, delle giocatrici, ma anche di quelle che sono dei tornei, del business.
È stato qualcosa di molto interessante dover capire che cosa fosse quello che io intendo come “il pacchetto completo”. Non è qualcosa che riguarda solo noi, del consiglio giocatrici che riguarda un po’ tutti. Ci sono i tornei, le televisioni, la WTA che deve dirigere tutto… Non sempre c’erano le stesse idee su tutto, bisogna trovare il compromesso adatto. Non è mai facile, ci sono anche lunghe discussioni, ma al giorno d’oggi credo che stiamo procedendo nella giusta direzione.
C’è stata una volta in cui una determinata questione ti ha aperto gli occhi su un argomento di cui magari fin lì non ti eri accorta?
Quello che è realmente difficile è stato sul forfait delle giocatrici, come è capitato anche qui. È qualcosa di molto complicato da decifrare. Il torneo vuole le giocatrici, che siano qui e che giochino. Solo che loro, dal loro punto di vista, non vorrebbero essere penalizzate perché dicono ovviamente che non è colpa loro se si sono infortunate ed è difficile trovare un buon equilibrio. Capirei la difficoltà della questione anche se fossi dalla parte del tournament council. Quindi sì, è difficile alla fine pensare di poter fare tutti felici.
Avendo condiviso tutti i successi in Fed Cup con Petra Kvitova, fin dal 2011, avendoci giocato un Master assieme in singolare nel 2015, c’è stato qualcosa di particolare che lei ti ha detto riguardo alla decisione del ritiro? Hai avuto modo di discuterne?
Sì ne abbiamo parlato in più occasioni, abbiamo ricordato i tanti anni trascorsi fianco a fianco. È anche grazie a lei che abbiamo raccolto vittorie straordinarie. È stato un capitolo bellissimo, questo, e penso che lei possa ancora avere diversi anni davanti a sé: è ancora molto giovane (detto col tono da chi lascia intendere un po’ di sana invidia) e lei ha un grande team. Spero possa essere una di quelle che aiuti le ragazze a portarle a tanti successi da poter poi festeggiare assieme. Avevo già sperimentato questa situazione quando lo scorso anno ero andata a Praga per tifare per lei in finale. È molto divertente far parte di questi momenti.
C’è più tensione nello stare in campo e vivere il momento o nello stare in panchina, come dicevi, a supportare il team?
Dipende: tu vuoi giocare, vuoi vincere, vuoi portare a casa il punto per la tua squadra, essere tra i protagonisti principali. C’è sempre stress lì. Se tu invece sei in panchina, che guardi le tue compagne, completamente rilassata (ride, nda), puoi anche prendere una birra (ride, nda) e goderti il momento e vedere come loro fanno bene il loro dovere. Alla fine non è tanto diverso, però hai comunque aspetti positivi. Poi, se vuoi la mia: la cosa più bella è goderti la vittoria e poi una birra.
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