Di Matteo Salvadego
Gli australiani amano lo sport, più o meno sudato. Amano guardarlo in tv o negli stadi, comodamente seduti con una bella birra fredda in mano, ma amano anche farlo. Secondo dati del 2016, circa 11 milioni di australiani (quasi il 70% della popolazione) fanno sport almeno una volta a settimana. Sarà il clima, sarà il verde, sarà che altrimenti peserebbero 100 chili.
Nonostante il tennis sia solo al nono posto in Australia per numero di spettatori totali, è il terzo sport più praticato sui campi, preceduto solo da aerobica e golf. Un milione di australiani gioca a tennis, circa il 5% della popolazione. Di questi il 60% è iscritto a un club, circa 750.000 persone giocano tutte le settimane e un ulteriore 13% almeno due volte al mese. Forse perché è più semplice trovare un compagno per qualche scambio a rete che nove amici per il calcetto, forse perché ogni città è piena di campi pubblici e gratuiti, in perfette condizioni, da cui devi giusto soffiare via qualche foglia di eucalipto. Ma c’è un altro motivo.
Agli australiani piace da morire tutto ciò che è glamour. Magari un po’ come rivalsa per aver iniziato come marinai e galeotti, o come tentativo di imitare i fratelli maggiori inglesi.
Ogni anno lo stato di Victoria si ferma per una corsa di cavalli. E quando dico si ferma, intendo che è festa nazionale, public holiday, scuole e uffici chiusi. Persone che nel weekend girano comunemente in shorts e infradito, improvvisamente adottano il dress code del Royal Ascot, cappellino di piume compreso. La gente sembra celebrare la libertà di una vita casual concedendosi una giornata di insensata eleganza. Perché è glam, ma all’australiana. Cioè glamour legato allo sport.
L’elemento sociale dello sport quaggiù è cruciale. Non a caso lo sport nazionale è il cricket, che si gioca in golfino bianco e pantaloni inamidati e di cui i maliziosi dicono che gli spettatori sudano più degli atleti.
Un fattore che ha contribuito in maniera decisiva alla crescita del tennis down under sono proprio gli Open di Melbourne, cioè un evento sportivo globale che pone la città e la nazione al centro del palcoscenico sportivo mondiale. Quindici giorni che inorgogliscono gli australiani, danno loro un’ottima scusa per darsi un tono e ritrovarsi al Melbourne Park a sorseggiare uno spritz invece che una birra con addosso una polo invece che la canotta. Quasi a prescindere da quello che succede nelle arene.
Intrusi? Falsi sportivi? Non da queste parti. Agli organizzatori in fondo non importa perché sei lì. Basta che tu ci sia, paghi e ti diverta.
Quando trent’anni fa Tennis Australia e il Governo del Victoria hanno deciso di trasformare gli Open di Melbourne in un evento globale, hanno lavorato esattamente su questo pubblico. Con gran scorno dei ricchi soci, nel 1988 hanno preso il torneo un po’ ingessato che si giocava sui campi in erba dell’elegante Kooyong Lawn Tennis Club e lo hanno trasferito al neonato Melbourne Park. Due ingredienti per il successo: investimenti multimilionari nelle infrastrutture e l’idea di creare un festival cool che attraesse non più solo sportivi vecchio stampo.
E’ stata una strategia attentamente studiata, e ha decisamente funzionato. Risultato: i 140.000 spettatori che seguivano mediamente il torneo nella vecchia location sono diventati 266.000 al primo anno al Melbourne Park (+90%) e continuano a crescere. Sono stati 729.000 del 2018, ed è facile prevedere che il record sarà di nuovo battuto quest’anno.
Il segreto non sono solo le ottime infrastrutture tecniche e sportive, ma anche bar, ristoranti, aree con musica live, parchi gioco per bambini, maxischermi ovunque, zone tematiche che rappresentano le altre 3 città del Grande Slam. I lustrini da soli non bastano, ma se li metti attorno a uno dei migliori impianti per il tennis al mondo, fanno la loro figura. Come ha detto il grande Pat Cash, eroe di Wimbledon ’87, “Ci si sente come ad un festival in cui per caso si svolge anche un torneo di tennis”.
Ma la filosofia è cambiata. Ora è più un business plan. Richard Heaselgrave, Tennis Australia Chief Revenue Officer: “Vogliamo creare qualcosa di straordinario per l’Australia e il mondo. Abbiamo l’ambizione di esportare oltremare l’estate australiana, il sole, il tennis, il mangiare all’aperto, farsi un drink, la musica live e il cinema sotto le stelle”. Grazie per aver citato anche il tennis. “Le organizzazioni sportive possono essere pigre. Puoi semplicemente sperare che i fan vengano, ma non è abbastanza. Devi rendere la loro giornata spettacolare”.
Martin Pakula, Ministro del Turismo, Sport e Grandi Eventi del Victoria: “Gli Australian Open lavorano in modo aggressivo nel creare intrattenimento ed essere attraenti. E’ il segreto per aumentare la presenza di pubblico. Ogni anno l’evento crea 1000 posti di lavoro, un indotto di 300 milioni di dollari per lo Stato di Victoria e presenta la città di Melbourne ad un pubblico globale di un miliardo di persone.”
Il motore è in moto e corre a pieni giri. L’esperienza dell’evento attrae il pubblico, gli sponsor saltano a bordo, i premi in denaro per i vincitori si alzano, gli atleti accorrono e la fama del torneo cresce, attraendo altro pubblico per l’anno dopo. E’ lo sport generalista, bellezza, quello che piace sempre più anche ai non sportivi.
Agli ottavi di finale degli ultimi Open d’Australia, quando il pubblico diligentemente ammutoliva al servizio al quarto set di Tsitsipas contro Federer, dentro la Rod Laver potevi sentir filtrare la musica suonata in uno dei tanti pop-up bar delle aree esterne. Roba da far inorridire i puristi, ma terreno fertile per la crescita dell’intero settore sportivo australiano.
E comunque in TV non si sente.
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