Petra, è passato diverso tempo. Come ti senti a essere rientrata in una finale Slam?
È vero, è passato tanto tempo. 5 anni. Questo è il motivo per cui ho lavorato tanto, e questa finale ha un sapore molto dolce. Sono veramente felice di esserci di nuovo. Onestamente penso che non molte persone credessero io potessi tornare qui, essere in campo e giocare a tennis a questo livello. Solo pochi, penso. Sono molto felice di avere questi pochi accanto a me in un team che per me è il migliore. Si sta veramente bene, spero sia anche per loro uguale, per la mia famiglia, e per tutti quelli che c’erano quando ne avevo bisogno.
Sulla questione del tetto, sapevi che potevi andare incontro a quella eventualità? Ha cambiato qualcosa?
Sapevo da qualche giorno che giovedì e venerdì sarebbero stati molto, molto caldi. Questa mattina ho chiesto ai rappresentanti della WTA come erano le regole e loro mi hanno detto quello che poi è effettivamente capitato. Loro hanno chiuso il tetto, è importante questa regola perché alle volte con questo caldo è molto pericoloso.
Ho saputo che ti sei incontrata con Monica Seles lo scorso giugno. Senti un collegamento tra voi due dopo le vostre vicende personali?
Penso sia diverso, perché il suo episodio ne ha segnato la carriera per tanto tempo e poi è successo in campo. Però è stato un bellissimo momento. A dir la verità è stata lei a volermi incontrare, dunque io mi sono sentita molto onorata di questo. È stato piacevole comunque trovare qualcuno che avesse attraversato più o meno le stesse problematiche che ho avuto io.
La tua storia ha ispirato molte persone. So che ti è stato chiesto molte volte ma potresti parlare delle difficoltà che hai dovuto affrontare dopo l’incidente?
Guarda, non sono ancora così convinta di credere al fatto che ho raggiunto una finale Slam dopo quel momento. È strano, non sapevo neppure se fossi stata in grado di tornare a giocare. Non è stato per nulla semplice in quel momento: fisicamente e mentalmente è stato durissimo. Ci ho messo un po’ a realizzare la situazione. Non ero più completamente fiduciosa a stare da sola. Ricordo quando per la prima volta sono rimasta da sola nello spogliatoio a Praga, al circolo tennis, e poi sono andata dal mio team e ne ho parlato con loro dicendo che mi sentivo meglio di quanto mi aspettassi. Ho fatto tantissimo lavoro di riabilitazione con la mano. Un gran trattamento di fisioterapia. Forse mi ha aiutato la mentalità da sportivo, quella che comunque dopo un infortunio ti poni subito l’idea di voler tornare. Ho cercato di allenare la mano 2-3 volte al giorno, non so se fosse la maniera giusta, ma mi serviva riprendere contatto con la mia mano non solo per il campo ma proprio per la mia vita. Quei 3 mesi sono stati durissima. Ho saputo solo dopo che il mio dottore non era felice dei progressi della mia mano nel secondo mese. Le cicatrici erano ancora importanti e non riuscivo ancora a far nulla. Fortunatamente non me l’ha detto, ma solo più tardi, perché io avevo bisogno di essere forte e non buttarmi giù. È stata molto lunga.
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