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Fragile e dannata, la maledizione della giovane Australia

Chissà cosa pensava Lleyton Hewitt in tribuna sulla Melbourne Arena guardando Nick Kyrgios ciondolare sul campo, ammaccato e sfiduciato, in attesa che Milos Raonic chiudesse una partita mai messa veramente in discussione.

Poche ore prima Bernard Tomic gli aveva lanciato contro un paio di bombe a mano non indifferenti a cui prima o poi sarà costretto a replicare. “Vai via, non piaci più a nessuno”: l’ha toccato piano Bernie, dichiarando apertamente guerra al capitano della squadra di Davis, un conflitto che vedrebbe anche Kyrgios e Kokkinakis nel ruolo di ammutinati.

L’ultimo grande campione australiano tradito da quelli che dovrebbero, o meglio avrebbero dovuto, rappresentare il futuro tennistico del paese. Perché mese dopo mese, anno dopo anno, le speranze di vedere gli aussie boys nati tra il ’92 e il ’96 tra i migliori vanno sempre più scemando. Tanto talentuosi quanto impossibili. E fragili. Nelle motivazioni, alla voce Tomic, nella testa, nel caso di Kyrgios, e nel corpo, come Kokkinakis. Proprio Thanasi oggi è stato il primo ad alzare bandiera bianca, non gli hanno nemmeno concesso la wild card e lui si è sudato la qualificazione, è sceso in campo contro Taro Daniel con la voglia di spaccare il mondo. Invece sì è spaccato lui. Di nuovo.

Vinto il primo set e sotto di un break nel secondo, a tradirlo stavolta sono stati i pettorali, tanto per rimpinguare una lista di infortuni chilometrica. In principio fu la spalla, andata a pezzi per un peccato di vanità e di superficialità giovanile: la Nike aveva annunciato il ritorno dello smanicato e lui non voleva fare brutta figura sulle copertine dei giornali mostrandosi troppo gracilino. È così via con il sollevamento pesi fino ad autodistruggersi. Poi l’operazione, il rientro difficile e nuovi guai fisici: gli addominali, l’inguine, il ginocchio. A 22 anni ha già visto più dottori che racchette. Nel mezzo poche partite, pochissime vittorie, sempre fermo al primo turno nelle ultime sette apparizioni Slam, la sensazione che quel corpo sia troppo delicato per poter reggere a lungo e che prima o poi qualcos’altro farà crack.

Come Kokkinakis anche Kyrgios si è fermato al primo ostacolo, frenato da un Raonic super al servizio e da un ginocchio traballante. Un problema che forse lo ha condizionato più nella testa che nel fisico. Dal primo intervento del fisioterapista in poi è stato un trionfo di spallucce, borbottii, lamentele contro se stesso, contro la sfiga, contro il mondo, contro tutto e tutti. Forse avrebbe potuto vincerla la partita, quanto meno instillare il dubbio nella mente di Raonic, farlo vacillare. Invece no. Per Nick il match era già perso, perché dannarsi l’anima se così è scritto, almeno secondo lui. Questo è Kyrgios, l’uomo del “banging-gate” ma che mostra una straordinaria sensibilità nel bellissimo messaggio dedicato ad Andy Murray dopo l’annuncio del ritiro. Uno che non sa ancora cosa vuole da se stesso, cosa fare da grande e rischia di capirlo troppo tardi.

E poi c’è Tomic, che tanto giovane non lo è più: 26 anni, una carriera con pochi alti e tanti bassi, dichiarazioni controverse, qualche sprazzo di tennis incoraggiante, apparizioni in reality show locali fino ad arrivare alla bordata contro Hewitt. Il tutto mentre l’Australia scopre Alexei Popyrin, gigante di sangue russo alla prima vittoria Slam grazie al bel successo su Mischa Zverev, e coccola Alex de Minaur che per volontà e “tigna” ricorda proprio il Rusty del bei tempi. E così all’improvviso Kyrgios, Kokkinakis e Tomic (ammesso che gli importi) potrebbero rendersi conto che quel futuro roseo prospettato non è più loro.

Piero Vassallo

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