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Federer: “Super tie-break al quinto? Soluzione divertente ma spero di non doverne giocare”

Sei rimasto sorpreso da Dan Evans e dal livello di tennis che ha espresso?
No, ho grande considerazione di Dan, penso sia un buon giocatore. L’ho visto giocare alcune belle partite, e capisco perché è in grado di mettere in difficoltà i suoi avversari. Ha uno slice interessante e difende il campo molto bene. Ha un gioco vario, una caratteristica che rende sempre difficile giocarci contro. Oggi il match mi è piaciuto, lui è stato bravo, è stato un po’ giocare a cane e gatto, molto interessante.

Dan è stato top-40. Ben lontano dal suo ranking attuale (189). Pensi che possa tornare dov’era?
Certamente. Pensa, nemmeno sapevo fosse 189. Per me è sicuramente uno da top 100. Ora, una volta che sei 80, 60 o 40… Le differenze sono solo nei dettagli, nel come ti sei allenato, quanto desideri emergere, nel riuscire a evitare infortuni, essere nel posto giusto al momento giusto. Io penso lui possa rientrare nei primi 50, senza problemi.

Quest’anno ogni Slam ha le sue regole se si va al 6-6 del quinto set: tie-break a 7, tie-break a 10, tie-break sul 12-12, o prosegue normalmente come in Francia. Pensi sia corretto così, o ritieni debbano essere uniformati un po’ di più tra loro?
Bah, voi pensate che avrebbe senso renderli più uniformi, giusto? Allo stesso tempo io penso che per certi versi è emozionante questa differenziazione. Parliamoci chiaro, ci hanno detto che in Australia solo il 2% dei match è finito in questo modo: è un numero chiaramente bassissimo. Quel che penso, è che una volta che si è 6-6 al quinto, le chance tue e del tuo avversario sono esattamente le stesse, quindi il tie-break agevola il vincitore nel prosieguo del torneo.
Allo stesso tempo, a me piacciono le tradizioni, mi piace il long set. In passato, ai tempi di Tony Roche, il long set era in ogni set, non solo nel quinto. Da quel punto di vista, è un po’ deludente. Ma è anche vero, e lo capisco, che il tennis sta diventando potenzialmente più faticoso, si esige di più da parte nostra. Ma noi non giochiamo più i doppi o i misti come facevano le generazioni precedenti. Non riesco a pensare che noi siamo piú in forma o più tosti di loro, perché loro erano davvero tosti.
Comunque, tornando alla domanda, è divertente avere 4 modalità differenti. Detto ciò, io spero comunque di non doverci arrivare mai.

Ad inizio anno, Novak ha detto che i favoriti per gli Slam sono ancora, almeno per quest’anno, i top-3, i Fab-4. Pensi sia perché avete piú esperienza di chiunque in situazioni complicate e in particolare sui 5 set?
Sì, penso di sì. Beh, Novak, Rafa e io… sappiamo come vincere uno Slam, penso. Se pensiamo al Roland Garros, Rafa deve essere considerato il favorito numero 1, a prescindere da come sta o si sente fisicamente, non mi interessa. Stessa cosa, Novak è sempre uno dei favoriti sul duro, o in generale su ogni campo in cui si sente a suo agio, senza dubbio, se gioca come l’anno scorso. Ed io, beh, forse semplicemente per il numero di titoli che ho vinto a Wimbledon e altrove ritengono giusto inserirmi ogni volta nella lista. Ci sono altri validi pretendendi, ovviamente. Penso a Sascha, che ha vinto alle ATP Finals. Anche se ancora non è esploso negli Slam, in alcuni andrà sicuramente in fondo quest’anno, chissà a partire proprio da qui. Vedremo.

In passato hai detto che quando eri giovane sognavi di avere una carriera lunga, e quindi hai giocato un po’ meno. Ti è mai capitato di lottare contro questa decisione, di pensare di voler giocare di più, magari dopo una sconfitta bruciante?
Ricordo benissimo una conversazione che ho avuto dopo essere diventato numero 1 nel 2004, proprio dopo gli AO. Sono tornato in Svizzera e ho parlato con Pierre Paganini, il mio preparatore atletico, che mi dice, testualmente: “Fammi questo piacere, se possibile, non andare dietro a tutti i gettoni di presenza e metterti a giocare tutti i tornei”. Perché nei 250 e nei 500 riceviamo un gettone di presenza nel momento in cui decidiamo di partecipare.
Al chè gli ho detto “No, non lo farò, cercherò di rispettare la programmazione al massimo e nel caso in cui avrò voglia di giocare un torneo particolare, magari perchè mi piace la location o altro, troveremo una soluzione insieme in anticipo”.
Col senno di poi, posso dire di essere molto contento di non averlo fatto. La questione è che all’epoca avevo 23 anni, non sapevo quanto a lungo avrei giocato, o per quanto tempo avrei potuto essere al top. È che è qualcosa che non puoi sapere. È per questo che mi piace così tanto la vita del tennista: la pianificazione è sempre a breve termine. Da un lato rende tutto più difficile, perché non firmiamo contratti di 5 anni con un club, come negli sport di squadra. Dall’altro, ci obbliga a vivere una vita regolare, che è poi ciò che ci mantiene umili e normali, ad essere onesti. Sono felice di essermi tenuto alla larga da gravi infortuni, e di essere rimasto fedele al mio piano originario di non giocare troppo, prendendomi le mie pause quando necessario. Non è semplice andare in palestra per 5-6 settimane durante la stagione mentre vedi gli altri vincere i tornei. Sì, avrei potuto vincerne pure io un paio, in quel periodo, probabilmente. Ma l’ho fatto per me, per il mio gioco e la mia salute. Per il mio futuro.
Per cui sì, può rivelarsi difficile. Ma il mio consiglio ai junior e ai più giovani è proprio di fare qualcosa di simile.

Giorgio Cammarosano

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