Dodici game tra semifinale e finale è il magrissimo bottino che gli avversari di Novak Djokovic hanno racimolato in due match che sono stati imbarazzanti, tanto sembravano in completa balìa del serbo i due. E se tutto sommato con Lucas Pouille ci poteva anche stare, la terrificante batosta subita da Nadal, che aveva sorvolato il torneo con olimpionica serenità, mai perdendo un set e una volta sola costretto al tiebreak, sembrerebbe indicare che il futuro prossimo del tennis è tornato nelle solidissime mani del serbo. E se abbiamo detto che non c’erano più parole per glorificare prima Federer e poi Nadal, invece di ripetere la stanca litania anche per il terzo della compagnia, preferiamo cercare motivi di speranza per il tennis da venire, lasciando ad altri il compito di cantare le meritate odi per Nole.
Per fortuna di tennis si tratta e quindi il periodo tra il vecchio che non si decide a morire e il nuovo che stenta ad arrivare non produrrà chissà quali mostri, al limite una sana noia, quella che da due anni avvolge il circuito ATP. Passati i primi turni, durante i quali ci si ingegna a trovare motivi di interesse negli scontri di seconda fila, alla resa dei conti tutto diventa sin troppo scontato. Le semifinali di quest’anno sono state una prece ma l’anno scorso non era certo andata meglio, tra il ritiro di Chung e i dieci game di Edmund. E anche allo US Open c’è da stato mettersi un po’ le mani ai capelli tra i nove game raccolti da Nishikori e il ritiro di Nadal, l’anno dopo di una semifinale tra Anderson e Carreno Busta e di un’altra tra Nadal e del Potro durata un’ora prima che l’argentino crollasse, more solito. L’onda lunga naturalmente tocca Parigi, con le due semi senza storia del 2018 e il solito dominio di Nadal, e Wimbledon, dove l’erba ha allungato i match con il bel risultato di convincere gli organizzatori che anche basta, si può smettere pure sul 12 pari.
Insomma sempre più gli addetti ai lavori, soprattutto in Italia, che non vendono tappeti tentano di riciclarsi raccontando di nuovi mirabolanti prodezze di italiani imbattibili nei 250, pronti a vincere almeno un paio di turni di un “1000”. Quelli esterofili cercano scampo nelle sregolatezze dei vari Paire, Haase, Klizan, che fanno tanto hipster, come si usa dire adesso, ma che potranno di tanto in tanto far alzare il sopracciglio e poco più. Esaurite le speranze su Dimitrov, forse su Thiem, magari su Nihikori e Goffin, troppo avanti con l’età del Potro e Cilic, sempre malato Raonic, non si può che tornare a bomba e cioè alla “next gen”. Questo torneo ha detto qualcosa, anche se è inevitabile essere delusi. Però Djokovic gli unici problemini li ha avuti con Shapovalov, che non ha neanche 20 anni, e Medvedev, che poteva andare avanti di un break nel terzo, sul risultato di un set pari e ha solo 23 anni. E se de Minaur sembra forse un troppo leggero per riuscire a fare la carriera di Hewitt, e troppo fragile Chung, Tiafoe può togleirsi qualche soddisfazione e Coric va progredendo lentamente ma costantemente, sorpreso da un Pouille che ha sfruttato alla perfezione il varco che si era creato nel tabellone. Ai tre va aggiunto il deludente Khachanov, non tanto per il successo di Bercy – la fine che ha fatto Sock è sotto gli occhi di tutti – quanto perché il russo sembra avere se non le armi almeno la convinzione per far partita pari e magari sorprendere qualche big nei primi turni.
Come si sarà notato si è lasciato per ultimo il trio che per un motivo o per l’altro sembra quello che potenzialmente potrebbe mostrare che, nonostante questi ultimi anni dicano il contrario, a volte le cose cambiano rapidamente. E se ormai nessuno punterebbe più il classico copeco su Kyrgios, a prescindere dell’immenso talento dell’australiano, Alexander Zverev, nonostante l’ennesima delusione, quest’anno non lo batteranno in tanti e naturalmente, non si vede l’ora di rivedere in azione Stefanos Tsitsipas, incappato in una serata che ha fatto fatica a spiegarsi, ma che dopo aver battuto Federer ha superato una partita durissima, quella con Bautista Agut. Si deve trattare il tutto con molta cautela, perché a turno questi ragazzi sono sembrati già pronti per poi mostare che non lo erano affatto quando contava davvero. Ma Tsitsipas sembra avere sia il talento, a differenza di Zverev che ha ancora grandi difetti tecnici, sia il carattere, a differenza di Kyrgios, per poter molto preso sottrarci all’ineluttabile esito di questi due anni di slam. Del resto, sperare non costa nulla.
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