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Con l’addio di Murray inizia a cedere il muro dei Fab Four

È una ferita grave l’addolorato commiato di Andy Murray al tennis, nel bagno di lacrime che inzuppa la vigilia degli Open d’Australia. Rende di tremula gelatina i sospirosi pensieri degli amici tennisti, che niente di tutto ciò avevano previsto, e ricorda quanto perfido e crudele sia lo sport ai molti che il ragazzo di Dunblane hanno visto crescere in questi anni trascorsi in top class, e trasformarsi da bimbetto irragionevole a uomo equilibrato, nient’affatto attratto da quel bisogno di esibire un carattere d’acciaio che altri s’impongono a ostensione della propria virilità agonistica.

Grave perché unisce l’uomo e il tennis in una comune lacerazione, che viene dall’improvviso prender forma delle cose. E poco importa che questo accada sia nel bene sia nel male, perché è quest’ultimo come sempre a far vibrare più a lungo, di suoni cupi, le corde dei nostri animi, mentre proietta le sue ombre oltre ogni dove. Appare quasi pudico, Andy, nel parlare del suo dolore, nell’ammettere che uno dei tennisti più celebrati per fisicità e armonia dei gesti, nascondeva una singolare fragilità in quelle ossa da campione, lise già da tempi lontani e poco a poco divenute caduche, ormai sbrecciate e invecchiate come quelle di un anziano. È l’anca destra il problema, e lo è da dieci anni. Andy ammette di aver convissuto con il fastidio, poi con le fitte che sorgevano senza annunciarsi, quindi con il dolore, sempre più forte. Fino a divenire esagerato… Si fece operare un anno fa, proprio in Australia, e non è servito a nulla. I medici glielo dissero che l’anca aveva subito danni ormai irreparabili. «Forse potrei ricorrere a un nuovo intervento», fa sapere, in guerra con un groppo alla gola, «ma sarebbe più profondo e invasivo del primo. Ci penserò, ma se dovessi decidere di farlo, sarà solo per ritrovare i gesti di una vita normale, non per tornare al tennis. Oggi sogno di poter passeggiare, di infilarmi i calzini o di allacciarmi le scarpe senza avvertire dolore».

È grave la ferita che Andy mostra nell’annuncio del prossimo addio – «forse già dopo questo torneo, anche se vorrei tanto chiudere a Wimbledon» – anche perché la crepa ha sbrecciato per la prima volta il muro del più solido castello del tennis, quello del Club dei Più Forti, dei Fab Four. È il primo ritiro fra i governanti del nostro sport. Il primo abbandono tra chi ha avuto funzioni di guida di tutto il movimento. A turno i Favolosi hanno combattuto con i dissesti del loro fisico, e sempre ne sono usciti vittoriosi. Nadal sta combattendo ancora, assediato da un guaio muscolare figlio dell’ennesimo ritorno all’agonismo. Federer ha ritrovato il suo dritto proprio in questi allenamenti australiani, e si è permesso di battere due dei boys miracolosi nella Hopman Cup, prima Tsitsipas poi Zverev: si trattava di una sorta di insensibilità muscolare, di natura sconosciuta, che aveva disinnescato il suo colpo migliore a metà del 2018, proprio quando Wimbledon bussava alle porte. E Djokovic veniva da due anni da buttare, dopo il ritorno alla vittoria (Wimbledon, gli Us Open) che oggi lo proietta da favorito in cima allo Slam australiano. Murray era nelle loro stesse condizioni, ma per lui la strada finisce qui. Il primo a restituire i gradi di tennista favoloso.

Piange Andy, e racconta che il periodo peggiore è giunto venti mesi fa. E non è ancora finito. «Sto lottando da troppo tempo, e penso sia abbastanza. Ho fatto tutto ciò che potevo per provare a stare meglio, ma non ha funzionato». Continua… «Mi chiedete se possa ancora giocare. La risposta è sì, per quanto riguarda i movimenti. No, invece, per il dolore che provo. Vi sono gesti che non posso più permettermi, ma non è quello il problema. Avrei accettato di giocare anche sapendo che non sarei tornato ai livelli più alti, se solo l’operazione avesse cancellato il dolore. Ma così è impossibile».

Resta la sua carriera, da quarto fra i favolosi. Tre Slam (Us Open 2012, Wimbledon 2013 e 2016), il titolo dei Championships riconsegnato alla Gran Bretagna 77 anni dopo l’ultima impresa di Fred Perry. Poi i titoli olimpici, due, consecutivi (Londra, Rio). E i 14 Masters 1000, sparsi fra i 45 titoli conquistati. Murray è stato numero uno dal 7 novembre 2016 al 20 agosto 2017, 41 settimane. Nel giorno del primato anche suo fratello Jamie raggiunse il numero uno in doppio, e per qualche settimana la casa di mamma Judy, nella piccola Dunblane, divenne la Club House del tennis.

L’addio di Andy annuncia che l’età dell’oro dei tennisti favolosi è agli sgoccioli. La storia finisce qui. Tutto cambia. Dolorosamente, purtroppo…

Daniele Azzolini

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