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Australian Open: Osaka forte anche nelle difficoltà, sconfitta una grande Hsieh

[4] N. Osaka b. [28] S. W. Hsieh 5-7 6-4 6-1

Vogliamo cominciare con una frase inflazionata? Naomi Osaka solo poco tempo fa questa partita l’avrebbe presa, buttata metaforicamente nel cestino, e sarebbe passata il prima possibile al prossimo torneo. La giapponese, però, sta cambiando. “She’s a champion” è stato il commento sentito uscendo fuori dal campo dedicato a quella tennista australiana di 50 anni fa, in grado di arrivare a vincere 24 titoli Slam di cui molti prima dell’Era Open e che ora si sta coprendo di vergogna con dichiarazioni tra il bigotto e l’omofobo (Margaret Court, per la cronaca).

Tornando a Osaka, she’s a champion. Non lo scopriamo oggi, ma quello che ha fatto veramente effetto è stata vederla provare a reagire in vari momenti di una partita che aveva i contorni di un “trappolone” tremendo. Il riferimento alla Su Wei Hsieh dello scorso anno, proprio qui a Melbourne, è forse l’esempio migliore. La giocatrice di Taiwan, mai completamente apprezzata dall’opinione pubblicata, poco considerata per l’età avanzata e una carriera spesa tra le retrovie dove ha trovato però gioie in doppio (vittorie a Wimbledon e al Roland Garros), ha un tennis tutto suo, che visto attraverso uno schermo televisivo rende veramente poco ma è di una genialità fuori dal normale.

Ha 33 anni, ma sembra muoversi come una di 10 anni più giovane. Arriva ovunque, manda l’avversaria a colpire ovunque, ed era proprio questo aspetto era il più preoccupante per Osaka, costretta a prestarsi a una tipologia di partita che non ama affatto. Angelique Kerber vide l’inferno, nel 2018, arrivando a pochi punti dalla sconfitta, Garbine Muguruza e Agnieszka Radwanska ci lasciarono le penne. Naomi stava assaggiando la stessa medicina.
Il servizio è il colpo debole, con velocità che raramente superano i 130 chilometri orari con la prima, ma la rapidità di piedi per prepararsi al colpo subito successivo è di ottimo livello e si prestava a recuperi difensivi che dopo circa un’ora di partita hanno mandato in tilt la giapponese. Oltre a questo, una sensibilità fuori dal comune nell’accarezzare la palla e telecomandarla fino all’impatto col terreno, normalmente o nei pressi di una riga o talmente profonda e tesa che all’impatto non si alza dal terreno (rapido) e costringe, s non proprio annulla, l’aggressività di chi è di fronte.

Oggi la numero 4 del seeding si stava mettendo nei guai da sola, quando dopo un po’ troppe risposte sbagliate nei primi game ha ceduto la battuta giocando male il sesto gioco. Ottima la prima reazione, con un controbreak immediato, e poco dopo con un nuovo break preso di forza, attaccando come una matta sull’ultimo punto e spostando Hsieh sempre più fuori dal campo. Il dritto finale del 5-4, accompagnato da una grande esultanza, sembrava essere la fine del parziale e invece Hsieh ha ricominciato ad attaccare e trovava il modo non solo di arrivare al 5-5 ma anche di mandare in grande confusione la giapponese che perdeva fiducia col dritto e cedeva il servizio sul 5-6.

Molto demoralizzata per l’occasione mancata, consapevole che di fronte c’era una giocatrice estremamente in palla, ha cominciato il secondo set con un modo di fare estremamente negativo mentre Hsieh continuava il suo show tra palle corte, slice, giochi a effetto che nessuna big vorrebbe mai trovarsi a fronteggiare perché nessuna giocatrice è abituata a questo. Difficile pensare cambierebbe qualcosa se il serve&volley fosse una pratica ancora molto usata, perché l’abilità di Hsieh nel diventare “show-woman” è qualcosa che va ben oltre uno stile identificato. Quella mano le permette di fare qualsiasi cosa, dal recupero con la smorzata calibrata magistralmente a una palla che esce dalle corde della racchetta senza il minimo sforzo e viene telecomandata. E poi allunghi, difese. Naomi ha cominciato a snaturarsi completamente, alzando traiettorie, mettendo spin sulla palla, utilizzando gli slice e provando, senza successo, alcune palle corte. Nel momento più critico, però, la scossa è arrivata. Anche grazie ad alcune belle difese, un po’ la novità per lei in questo inizio di 2019, dall’1-4 ha tenuto un importante game di battuta e sul 2-4, malgrado fosse sotto 40-0, ha cominciato a spingere come non succedeva da qualche game ed è tornato in lei lo spirito aggressivo che aveva almeno fino al 5-5 nel primo set. Un vincente, poi un altro, poi un altro. 5 punti di fila e tutto tornata in equilibrio. Salvata una palla del 3-5, tutto il suo box era scattato in piedi e Osaka è sembrata cibarsi di quell’energia, perché non ha più pensato, non ha più avuto paura, e ha lasciato andare il braccio andando prima 5-4 e poi chiudendo il parziale con un ottimo turno di battuta.

Nel set decisivo, dopo un iniziale break per la giapponese, lo snodo cruciale è arrivato sul 2-1 in suo favore. Era avanti 40-15, si è trovata a battagliare con le unghie e coi denti, incastrata ai vantaggi da una Hsieh che stava tentando un ultimo assalto e di rovescio metteva la palla dove voleva. Una all’incrocio delle righe, uno sulla riga laterale, stretto abbastanza da non far neppure muovere la campionessa dello US Open, poi ancora uno in lungolinea. Osaka andava avanti, lei la ricacciava sulla parità, e così per 4 situazioni consecutive. Alla fine, il dritto vincente le ha dato il 3-1 e l’urlo è stato molto significativo. Su Wei ha pagato lo sforzo, e da lì al 5-1 è passato pochissimo.

Trovatasi al servizio per rimanere nel match, anche lei ci credeva ormai molto poco. Al secondo match point la campionessa dello US Open ha chiuso, tornando agli ottavi di finale come avvenuto già lo scorso anno. Adesso un’avversaria già avuta un paio di occasioni negli ultimi tornei disputati: Anastasija Sevastova. A Pechino la lettone vinse, anche grazie a un problema fisico della giapponese. A Brisbane invece Naomi vinse una gran partita in rimonta. Come oggi, ma senza l’essersi mai sentita così vicina alla sconfitta. Naomi sta crescendo e migliorando anche aspetti del suo essere forse meno in vista, che è forse il messaggio peggiore per tutte.

Diego Barbiani

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