Di Matteo Nanni
Eccola qui, la Camila, di nuovo incantatrice. Torna a vincere. E stavolta piange, cosa che non le avevamo mai visto fare. Così come non l’avevamo mai vista schiantarsi dalle risate, un vero e proprio accesso di ridarella, quando si è trovata a parlare – il giorno prima della finale – della semi appena vinta a suo dire «giocando di schifo». Ne sentiva il bisogno, si vede. Forse sta superando le sue ritrosie… O forse perché l’immagine di sé, così arrembante e avventata, così coraggiosa e pericolosa per le colleghe cui sia già capitato di finire nel tritatutto del suo tennis in percussione, e al dunque così poco comprensibile per le concorrenti dei piani alti che da tempo l’hanno collocata nel Club delle Avversarie da Evitare a tutti i costi, si stava ormai allontanando da quella della tennista che sa anche conquistare i trofei, e arrivare in fondo alle cose che fa.
Il primo e unico titolo, fino a questo di Linz, lo aveva guadagnato in Olanda, sull’erba (a s’Hertogenbosch), e portava la data di fine giugno 2015. Ora, questo trofeo sollevato in Austria, sul tappeto veloce indoor che l’aveva vista finalista già nel 2014, rimette le cose a posto (magari solo un po’, chissà), ma è la risposta che serviva alla Giorgi in cerca di se stessa, che in questo finale di stagione – una delle sue migliori stagioni… – trova la seconda vittoria di una carriera sin qui assai poco generosa e una bella spinta verso quota 28, best ranking tre anni e tre mesi dopo il numero 30 ottenuto il 27 luglio 2015.
Le lacrime ci stanno, sono salutari, umane si dice in questi casi. E che lei lo sia davvero, un po’ più umana di prima, non ne abbiamo mai dubitato. Solo che la dipingono in altro modo, ma pazienza. Camila Giorgi è – allo stato delle cose – una tennista che non vuole rinunciare alle sue prerogative. Fa cose che altre non sanno fare, prova colpi che pochissime hanno nel proprio arsenale, e se trova una settimana in cui tutto si dispone nel giusto ordine (nella sua testa e sul campo) diventa un problema anche per le più forti. Spesso le hanno detto di approntare un “piano B”, ma lei non sa immaginare quale possa essere, e quelli che le vengono presentati non le piacciono perché configurano una rinuncia a se stessa. Tirare più piano? Orrore!
E se avesse ragione lei?
Ha battuto la russa Ekaterina Alexandrova in finale, e dunque non c’è da esultare per l’importanza del risultato, ampiamente alla portata della nostra. Ventitre anni, la russa era alla prima finale, peraltro ottenuta da numero 119 del ranking. Piuttosto, è l’essere giunta fino in fondo che offre della Giorgi un’immagine rinnovata. Una settimana senza intoppi, fra vittorie logiche e scontate finché vi pare, ma ottenute senza mai trovarsi in difficoltà: prima la Parmentier, poi la svizzera Teichmann, quindi la russa Gasparyan una che gli sgambetti li sa fare, poi la belga Van Uytvanck, infine la Alexandrova, protagonista di un torneo zeppo di sorprese e di vittorie inaspettate. Contro la Larson, la Pavlyuchenkova, la Petkovic… In finale, Camila ha portato a casa l’88 per cento dei punti con la prima di servizio, il 63% con la seconda, e non ha mai offerto una palla break. Una vittoria facile, com’è giusto che sia per una che ha i suoi colpi, le sue doti balistiche.
Così, Camila si pone nella posizione migliore per il passaggio più significativo della sua carriera, quello che la porterà dal prossimo gennaio a essere Giomila. Dal torneo di Sydney 2019, la Giorgi sarà proprietaria e testimonial del brand di abbigliamento cui ha dato vita assieme alla madre, sarta e stilista. Giomila, appunto. Il best ranking le varrà una testa di serie agli Open d’Australia, forse riuscirà anche a responsabilizzarla maggiormente. Potrebbe essere la svolta.
Le operazioni di preparazione per il lancio della nuova Camila sembrano quelle giuste.
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