Appena tre sconfitte nel dopo Wimbledon, il torneo che ha segnato il suo ritorno nel tennis che conta e la fine di una lunga crisi. Djokovic è di fronte al bicchiere metà pieno, e metà vuoto. Tre sconfitte sono poche, ma sono tutte giunte contro dei ragazzini. Il ventenne Tsitsipas a Toronto, il ventiduenne Khachanov nella finale di Parigi Bercy, e ieri Sascha, ventun anni e un destino forse già scritto.
«Stiamo arrivando», risponde Sascha, di getto, «ormai credo sia chiaro, e forse anche giusto. Noi giovani, noi under, stiamo arrivando ai piani alti. Stiamo imparando a confrontarci con giocatori che hanno dominato per più di quindici anni; vero, sono un po’ invecchiati, ma batterli è ancora oggi di una difficoltà mostruosa. Se vi stiamo riuscendo vuol dire che abbiamo qualità».
Zverev addirittura ha infilato Federer e Djokovic, nei giorni conclusivi di queste Finals. «Ne sono orgoglioso, credo che sia un risultato enorme. Ora mi chiedete se ero convinto di arrivarci… Mah. Certo non vado in campo per perdere, ma avvertivo come un peso. Era un esame che prima o poi dovevo sostenere. Averlo superato mi ha procurato sensazioni fortissime».
Discorsi da leader futuro, quasi. «Non esageriamo. Spero però che il mio tennis mi porti davvero in alto, che si dimostri all’altezza. C’è tanto lavoro da fare, ma non ho mai negato che il fine ultimo è proprio quello, diventare il numero uno. Ma non voglio pensarci ora». Già, ora Sascha vuole altro. Ha in tasca un biglietto per Dubai, poi per le Maldive. Due settimane, prima di riprendere gli allenamenti.
Djokovic se la cava… Bene non c’è rimasto, come pretenderlo, ma i complimenti a Zverev sono sinceri. «Vincerà presto un Grande Slam, ormai ha il gioco per farlo. Io invece… Beh, stasera, proprio quello mi è mancato, il gioco. Non ne ho azzeccata una».
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