È così difficile separare il ruolo di padre da quello di allenatore?
Esatto, non è facile per nulla. Lo noto anche quando sono in campo e parlo di tattica con Caroline. E poi prima delle partite, quando inizia a salire lo stress, sono cose ormai tipiche. È importante poi che lo stress arrivi sempre nello stesso momento. Non è facile parlare con la propria figlia e sapere che è anche la tua giocatrice. Lo raccomando a chiunque: non è bello essere i due ruoli nello stesso momento.
Quando hai cominciato la tua avventura con Caroline, ti saresti immaginato questa carriera così di successo?
No. All’inizio l’ho fatto per tenere Caroline fuori casa e non darle modo di perdere quattro o cinque ore al giorno davanti al computer. Questo è un problema attuale oggi. Così ho pensato fosse bene per lei essere fuori e fare varie attività. Abbiamo giocato a football, a tennis, a pallavolo, anche a minigolf, a nuovo, tutto. A quel tempo però non c’era assolutamente possibilità che io pensassi di vederla al numero 1 del mondo. Le parlavo così, era importante per l’aspetto mentale. Le dicevo: “Puoi diventare numero 1 del mondo, puoi vincere tornei dello slam”. O Patrick (il figlio, nda): “Tu puoi giocare nel Liverpool”. Oggi? Oggi sì, Caroline è diventata campionessa Slam. Ma mio figlio? Lui gira con la maglia del Manchester United. Questa è una grande offesa per la famiglia (ride, nda).
Negli ultimi anni hai fatto qualche intervista dove dicevi che avresti magari voluto viaggiare di meno, negli anni. Che cosa ti sta facendo continuare ad allenare?
Ci ho pensato molte volte. Ho preso qualche coach con me. Ho preso Thomas Hogstedt e due tre altri coach diversi. Per la mia idea è buono per Caroline che noi possiamo cambiare team per darle nuovo impulso. Per le donne questo sport non è facile, è molto duro e non hanno lo stesso corpo degli uomini ma ogni tanto lavorano anche più degli uomini. Per me è stato importante come padre e coach rimanerle accanto in questi anni. Oggi è troppo tardi: Caroline mi ha già detto che se smetto io smette anche lei. Noi abbiamo una sola casa, se le faccio questo sgarbo lei non mi aprirà più le porte (ride, nda). Ancora non ci sono chance che Caroline smetta.
Lo scorso anno eravate qui con Sascha Bajin. Come lui ha aiutato il team e come sono state diverse le cose andando in Australia?
Sascha era un hitting partner, ha lavorato con Serena Williams per tantissimo tempo. Dopo essere stato con Victoria Azarenka è capitata l’occasione di unirsi a noi perché in quel periodo cercavamo uno sparring. Poi però è anche importante per Caroline che lo sparring non sia sempre uguale. Non è che Sascha non fosse bravo, anzi è una bravissima persona. Gli ho parlato chiaramente e gli ho detto che aver lavorato con le migliori del mondo è un vantaggio e un’esperienza enorme e per me sarebbe stata un’ottima idea se lui avesse cominciato a lavorare come coach: “Puoi andare, hai tutto”. Oggi Sascha allena Osaka, che ha avuto un anno straordinario e lui era con lei. Ma nel team di Caroline, Sascha sarebbe ancora uno sparring ed è importante che lo sparring possa cambiare dopo un po’ di tempo. Alla lunga le giocatrici si abituano a che palla devono colpire, e il loro livello si abbassa. Adesso noi lavoriamo con Michal Przysiezny, che fino allo scorso anno era nel circuito professionistico. Si è unito al tema subito prima di Wimbledon, e così magari il prossimo anno lui lavorerà ancora un po’ per noi, oppure faremo già cambio.
Quanto è cambiato il tennis lungo la tua carriera di allenatore?
È cambiato tutto. In dieci anni è cambiato di tutto. Adesso le vincitrici dei tornei sono tante, mentre prima era quasi solo Serena. Lei e la sorella hanno cambiato il tennis femminile. Adesso è più divertente, più tecnico, sono cambiate le racchette, le corde. Questi attrezzi sembrano un po’ delle macchine perfette: prendi una racchetta e tutto funziona. Anche io potrei giocare potente, non ho muscoli ma potrei farlo. In più ora serve lavoro, lavoro, lavoro. Prima potevamo allenarci duramente tre o quattro volte alla settimana. Oggi queste giocatrici si allenano duramente almeno tre volte al giorno. In più, parlando sempre per lo sport femmine, non importa oggi che disciplina prendiamo. Per esempio, il golf. Le donne fanno 20.000 o 30.000 dollari se vincono un grande torneo. Se prendiamo uno sport molto popolare qui, il badminton, forse un miliardo di persone giocano a badminton in Asia. Quanto puoi prendere? 15.000? E poi prendi la Formula Uno. Zero donne. E poi prendiamo il calcio: giocatori che sembrano tutti grandissime star, roba da Hollywood. Le donne? Nel tennis invece le donne hanno prestigio, soldi, alcune volte la stessa cifra degli uomini, sempre più ogni anno. Grazie a Osaka sono già cambiate molte cose da un giorno all’altro. Lei è buona, forte, sorridente, rappresenta due o tre paesi giusto? Il padre è da uno stato caraibico ma vive negli Stati Uniti, la madre è giapponese. E guardate qui oggi: tantissimi giornalisti dal Giappone sono arrivati fin qui. E questo è bellissimo per lo sport femminile. E questo per me è fantastico.
Come è cambiata Caroline dalla vittoria dell’Australian Open? Hai notato magari un modo di fare diverso, meno stress?
Se vedessi meno stress, se vedessi cambiamenti, questo sarebbe Hollywood. Ma non lo è. Qui siamo a Singapore e c’è lo stesso stress volta dopo volta, non importa che lei sia campionessa uscente. Lo scorso anno fu una gran cosa per lei vincere, prendere il titolo e poi andare in Australia e vincere. I genitori sono orgogliosi, il padre felice. Ma il giorno dopo Caroline era di nuovo in campo. Lei non accettava neanche che prendessi due birre in più dopo quel grande risultato. Questa è disciplina. E vi dico che per me le cose importanti nel tennis femminile sono tre: la prima è disciplina, la seconda è disciplina, la terza è disciplina. Se non c’è questo, non c’è successo.
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