Nel primo giorno delle WTA Finals c’è spazio per la novità del 2018, un’idea introdotta durante il torneo di Cincinnati e portata avanti dai capi del settore comunicazione dell’associazione femminile: libero spazio ai coach, che come i giocatori rilasciano interviste e conferenze stampa. Per primo è toccato a Sascha Bahin, allenatore da fine del 2017 di Naomi Osaka.
Come hai visto Naomi durante questa stagione? In che cosa è cambiata maggiormente?
Penso che sia un po’ più aperta con gli altri. Non mi sembra più chiusa in se stessa come prima. Forse sono stato io che l’ho aiutata a tirare fuori certe emozioni, perché sono molto più spigliato, parlo a voce alta, e lei dice di sentirsi a suo agio quando m è attorno perché sono molto strano. La fa sentire bene. Qualsiasi cosa la aiuti a star bene, sono felice di poterla fare.
Che cosa ti ha impressionato di queste ultime 6 settimane? Dopo aver vinto uno Slam, con tutto quello che è successo…
Dopo lo US Open… Abbiamo visto in passato come tante ragazze abbiamo un po’ calato di ritmo dopo aver raggiunto un traguardo di questo livello. Posso immaginare il perché: è qualcosa di incredibilmente soddisfacente, qualcosa che si è sognato a lungo. Kerber, quando ha vinto l’Australian Open, ha avuto difficoltà per un po’. Sloane ha perso se non sbaglio 8 primi turni di fila. Un po’ tutte hanno avuto qualche problema. Invece ho visto Naomi fare così bene, nel suo paese natale, Tokyo, dove tutti i suoi sponsor più importanti erano lì per lei, tutti i capi, e senza avere un tabellone comodissimo, affrontando ottime giocatrici e raggiungendo subito la finale… Tutto ciò è stato impressionante. Poi di nuovo, andando a Pechino, cogliendo un’altra semifinale, ancora con un grande percorso. Vederla gestire così, tutto quanto, è stato impressionante.
Come mai credi sia stata in grado di reagire così?
Io sono stato fortunato di aver potuto lavorare con Serena Williams per tanto tempo. Insieme abbiamo vinto 12 titoli Slam e quando succedeva al lunedì eravamo già in campo. Se io non avessi vissuto questa situazione, probabilmente sarei stato super contento già con una semifinale o una finale. Così, ovunque io vada ho questa esperienza di poter vincere titoli in continuazione, cercare il meglio della prestazione ogni giorno. Io credo che questa sia l’energia e sensazione che voglio trasmettere a Naomi e di cui lei ora si sta cibando, oltre al fatto che è straordinaria.
A Pechino è sembrato che avesse bisogno di una pausa, fisica o mentale, come è stata la preparazione per questo torneo?
Lei non stava benissimo già a Tokyo, ognuno di noi nel team non era al meglio, forse anche per tutto lo stress. Io stesso ho avuto un po’ di febbre e non mi sentivo bene, con anche un po’ di mal di stomaco. Eppure lei è riuscita ad arrivare in fondo. È stata una stagione lunga. Se pensi che parliamo pur sempre di una ventenne, ventunenne, che ha appena vinto 4 milioni di dollari raggiungendo tutti questi risultati, passando dal numero 74 al numero 4, battendo il proprio grande idolo nella finale, c’è molto che ruota attorno a lei. Vi dico la verità: se fossi stato io a giocare, non sarei andato a Pechino, ma avrei preso una pausa molto lunga. Noi cerchiamo ora di mantenere la nostra routine e di rimanere concentrati su quello che facciamo, ogni giorno allo stesso modo. Per me è qualcosa di normale. Sono già stato al fianco di una giocatrice che ha vinto lo US Open. E ora sono molto felice di averlo fatto con Naomi, però è quasi un “ok, andiamo”. Abbiamo fatto Tokyo, poi Pechino, e ora siamo qui. Forse per questo lei dice che non sembro mai soddisfatto, ma è una questione diversa: io sono soddisfatto.
Come si è preparata Naomi per questo torneo?
Molto bene. Siamo stati al Centro Tecnico Nazionale di Tokyo e abbiamo sempre avuto quanto richiesto, ci hanno aiutato dal primo momento. Due sparring partner in campo, il campo disponibile in qualsiasi momento: due ore al mattino, altre due in caso volessimo continuare. Siccome ha giocato tanto fino a ora, ho cercato soprattutto di lavorare sulla parte fisica, di modo che fosse nella miglior condizione possibile dopo il problema alla schiena. Naomi, appena trascorre due o tre giorni in campo, comincia a riprendere ritmo. Lì era molto bello. Durante il pranzo ci sembrava quasi di essere tornati a scuola, con noi che giravamo per il posto tenendo il nostro vassoio e decidendo dove stare. E poi c’era tanta energia dagli altri atleti presenti. Sai che chi è lì è al massimo grado dello sport che pratica. Ti da un po’ più di energia per cercare di fare meglio.
Sembra che ci siano sempre più discussioni a proposito di introdurre la possibilità del coaching in campo durante i tornei dello Slam. Pensi sia un cosa positiva? Ti piacerebbe avere la possibilità di andare in campo e parlare con Naomi anche durante gli Slam?
No, assolutamente no. Ci ho pensato a lungo. Credo che se io debba guardare al perché ho cominciato a giocare è perché mia madre e mio padre volevano insegnarmi qualcosa. Grazie allo sport ho imparato cose senza che loro me le spiegassero. Ho capito per conto mio come superare i problemi. Ho imparato a concentrarmi. E questo è ancora adesso il mio obiettivo principale. Credo che se dovessimo imporre quella regola, no andremmo a sovraccaricare di informazioni la situazione. Credo che già molti ragazzi junior ricevano già troppi consigli. Penso che loro potrebbero perdere l’abitudine a pensare con la loro testa e tutto diventerebbe molto confusionario. Questo è invece qualcosa di molto positivo del nostro sport: sei davvero da solo e devi trovare il modo di risolvere i problemi. Se vedete tutti i migliori giocatori e giocatrici, loro sono tutti bravi a risolvere problemi in campo e fuori. No, non penso sia giusto.
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